A quattro anni dall’ultima edizione del tradizionale appuntamento biennale del Convegno Nazionale sulla Ricerca Indipendente in Italia, Fadoi – Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti ha condiviso con l’Istituto Superiore di Sanità il palcoscenico di un evento tanto atteso dai professionisti del settore presentando il convegno “La Ricerca clinica in Italia: il cambiamento è oggi?”, che oltre a focalizzarsi sulla ricerca indipendente ha acceso i riflettori sulla ricerca clinica, che mai come oggi richiede l’attenzione sia delle istituzioni sia dei professionisti.
Il convegno è stato un’opportunità di confronto e scambio di pensieri e di idee grazie alla partecipazione di autorevoli rappresentanti di Istituzioni, di Istituti di Ricerca, di Direzioni Generali e Sanitarie degli Ospedali, di Associazioni Scientifiche, dell’Industria, nonché delle Organizzazioni di Ricerca a Contratto.
Del resto, dopo gli ultimi anni segnati da significativi accadimenti in ambito sanitario, a partire dalla drammatica pandemia Covid-19 fino all’entrata in vigore dei Regolamenti europei sulla sperimentazione clinica, sui dispositivi medici e del GDPR – relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali – e i decreti attuativi della legge 3/2018, fare il punto della situazione era diventata una necessità.
La sfida della ricerca clinica
In un momento storico per il nostro Paese che per non perdere opportunità nella ricerca clinica, dovrebbe recuperare la sua dimensione competitiva per poter attirare investimenti da parte di aziende straniere con slanci verso la ricerca e sviluppo, la collaborazione tra istituzioni, come per esempio, sarebbe auspicabile, per esempio, la collaborazione tra la stessa Fadoi e l’iss con l’obiettivo di rendere la ricerca più fruibile e facilmente gestibile per gli ospedali e gli istituti.
Il nostro Paese, orientato ad affrontare nuove e importanti sfide per ritornare sul podio e riaffermare il ruolo che ha sempre dimostrato di meritare a livello internazionale in ambito di ricerca clinica, deve poter godere della disponibilità di nuove tecnologie per la generazione e la gestione dei dati al fine di contenere i costi e migliorare la qualità, per valorizzare le informazioni scientifiche già disponibili, ma sottoutilizzate e per stimolare collaborazioni strutturate e trasparenti fra la ricerca accademica e quella industriale.
Queste le condizioni ideali per innescare il motore della crescita, utile per garantire quel progresso scientifico da tradurre, in un secondo momento, in benefici per il sistema sanitario.
Gestione dei dati nella ricerca clinica
Tema centrale dell’intervento del prof. Giovanni Corrao, ordinario di Statistica Medica all’Università degli Studi di Milano Bicocca, è stata l’analisi della difficoltà di disporre di quei dati centralizzati che, da regolamento, non si possono mescolare.
Da qui, l’urgenza di mettere a disposizione della comunità e della ricerca quell’enorme quantitativo di dati che, attraverso investimenti, si dovrebbero digitalizzare a garanzia proprio di una solidità scientifica del sistema.
Dati che le diverse società e i numerosi istituti di ricerca dovrebbero mettere in comune a stipula di un rapporto di collaborazione per il raggiungimento dell’unico obiettivo della ricerca: la salute dei cittadini.
Durante il suo intervento dal titolo “La Gestione dei dati nella ricerca clinica: perché, quali, quanti e come?” il prof. Corrao ha cercato di dare delle risposte partendo dalla domanda originaria “il cambiamento è oggi?”.
«La ricerca clinica sta cambiando velocemente. Già prima della pandemia, la crisi dell’evidence based medicine era oggetto di dibattito e la necessità di tenere conto del valore delle cure già stava entrando nel nostro modo di fare ricerca clinica.
Siamo pronti a recepire questo cambiamento? Quando si parla di dati sanitari per la ricerca, sembra che tutti si dimentichino di quanto si è verificato in precedenza. Come se fossimo tutti colpiti dalla sindrome di Korsakoff, caratterizzata da gravi lacune nella memoria. Tutti ci siamo formati attorno all’EBM e abbiamo qualche difficoltà a misurarci con il valore delle cure».
La scienza dell’implementazione
«È necessario stratificare la popolazione in funzione dei bisogni di cura, per poi verificare come le azioni dei piani sanitari diventino realtà, per stabilire anche quanto siano efficaci e, allo stesso tempo, sostenibili per il SSN. Quando siamo stati colpiti dalla pandemia abbiamo avuto una chiara dimostrazione di quanto era in realtà già noto, ossia la necessità di poter accedere ai dati come base per prendere decisioni. Perché, purtroppo, nella pratica pubblica, non si può fare.
Per esempio, prima di eseguire la vaccinazione di massa contro il Covid, i cittadini non sono stati messi sullo stesso piano e si è deciso di dare precedenza ai più fragili. Qual è il criterio di selezione per definire un cittadino fragile? Chi decide? In quell’occasione, è stata avviata un’interlocuzione con le società scientifiche, pronte a trasmettere opinioni autorevoli, ma non era sufficiente.
Si è quindi proceduto alla classificazione di ogni cittadino in base alle malattie delle quali soffriva prima della pandemia, correlandole all’insorgere di esiti severi da infezione da Covid.
È così emersa una lista, ma non abbiamo potuto applicarla perché le Regioni non sono autorizzate a conoscere le malattie dei cittadini e ad accedere ai fascicoli sanitari dei singoli. È stato un limite, perché gli individui selezionati, probabilmente non avevano bisogno del vaccino, bensì di altre terapie.
Per pianificare in modo ottimale la locazione dei diversi servizi, In Lombardia, negli anni 2012-2014, in 56 strutture ospedaliere 2600 pazienti sono stati sottoposti all’intervento di resezione polmonare e abbiamo provato a classificare le strutture in base al volume di attività, redigendo una lista di ospedali con meno di 30 interventi l’anno, fino a strutture che superavano 95 interventi annui.
Da questo lavoro è emerso che, man mano che aumenta il volume di attività dei reparti di chirurgia toracica si riduce il rischio di morte di cinque anni.
L’obiettivo è realizzare un’alleanza tra Agenzie governative e il Ministero della Salute per diffondere norme di buona pratica e di utilizzo dei dati che siano allo stesso tempo rispettosi della privacy, ma anche utilizzati per migliorare la salute della comunità.
Per migliorare, agevolare e anche supportare l’adozione efficace di innovazioni e pratiche basate sulle evidenze, al fine di aumentare il loro impatto sulla salute di tutti, si dovrebbe fare ricorso alla Scienza dell’implementazione».
Quali e quanti?
«Abbiamo la disponibilità di molti dati che riguardano l’utilizzo dei servizi e delle prestazioni del SSN. Del resto, basti pensare che ogni qualvolta i cittadini accedono alle cure rimborsate dal SSN, i loro dati vengono registrati. Occorre fare parlare i database per poter costruire il percorso sanitario di ogni paziente.
Anche questa è ricerca clinica: al centro il cittadino e, attorno, le variabili rappresentate dall’insieme di cure che vengono erogate al cittadino. Siamo pieni di dati: i registri, le reti di medicina primaria, fino ai registri AIFA. Interessanti anche quei device indossabili che consentono di monitorare la salute. Di buona qualità, ma purtroppo non sono interconnettibili».
Come?
Alcune Regioni, avvalendosi dei registri, hanno tentato di costruire un indice di stratificazione nazionale omogeneo, ma sono state ammonite, perché, come dice il Garante, non esiste il supporto legislativo per questo tipo di operazione.
Si parla, dunque, di privacy e anche di etica, ma di quale etica parliamo?
«Esiste l’Etica individuale, garanzia che ognuno di noi deve avere la certezza che i nostri dati personali non siano divulgati, ma poi c’è anche l’etica collettiva. Un dovere etico è quello di andare avanti con le nostre conoscenze e, prima di utilizzare i dati per il bene della comunità, occorre trattarli con metodi rigorosi per trovare un equilibrio anche con l’etica individuale».
Com’è possibile?
«Si tratta di una grande sfida e stiamo cercando di affrontarla mettendo insieme le competenze di ognuno. Non abbiamo fatto altro che prendere spunto da un’esperienza straniera e, mettendo assieme le competenze delle Agenzie governative e di Istituti di ricerca, abbiamo realizzato Arca, l’Alleanza per la Ricerca con i dati sanitari in Italia.
Si tratta di un tavolo tecnico che risponde alle quattro Agenzie che lo hanno voluto, quindi Istat, Iss, Aifa e Agenas e supervisionato dal Ministero della Salute e da quello della Pubblica Amministrazione.
Ci siamo, dunque, orientati verso una direzione di equilibrio tra le tra le due componenti dell’etica creando, condividendo e realizzando norme di buona pratica di ricerca clinica con dati sanitari, anche retrospettivi, con il massimo rispetto della privacy e dei diritti di tutti».
Viviana Persiani