Gastroenterologia: diagnosi più veloci e precise con la videocapsula endoscopica

Gastroenterologia: diagnosi più veloci e precise con la videocapsula endoscopica
Da sinistra, Marco Pennazio, Renato Cannizzaro, Michele Perrino (ad Medtronic), Cristiano Spada e Maurizio Vecchi.

In occasione di un incontro con la stampa organizzato da Medtronic preso la sua sede di Milano, specialisti di Gastroenterologia si sono confrontati sui vantaggi e sulle potenzialità della capsula endoscopica PillCam.
Dal 2001 a oggi la ricerca e la pratica clinica hanno portato a una metodica sicura, tecnologicamente avanzata e clinicamente affidabile che affianca validamente l’endoscopia digestiva e la colonscopia, fornendo in alcuni casi dettagli non ottenibili con le metodiche tradizionali.
Infatti, se gli strumenti diagnostici tradizionali, per quanto precisi, possono comunque lasciare “angoli morti” nella visualizzazione dell’intestino, PillCam riesce a illuminare queste aree buie.
Dei vantaggi ottenibili, primo fra tutti è senza dubbio il reale risparmio sia in termini di tempo da dedicare all’iter diagnostico sia in termini costi a carico del SSN.

Come fa notare Marco Pennazio, direttore della Struttura Complessa di Gastroenterologia dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, «se per arrivare a una diagnosi con le metodiche tradizionali servono in media cinque esami (con i relativi tempi di attesa e costi), con la videocapsula ne basta uno e i risultati sono non solo affidabili, ma in certi casi dicono più di altri esami».
«La videocapsula permette di vedere un tratto dell’apparato digerente prima sconosciuto. Ci ha permesso di entrare nel piccolo intestino, un tempo indagabile solo tramite la radiologia o l’intervento chirurgico», spiega Renato Cannizzaro, direttore della Gastroenterologia Oncologica Sperimentale presso il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano.

Questa capsula monouso ingeribile è dotata di una o due telecamere che acquisiscono immagini dell’intestino mentre lo percorrono sfruttando la peristalsi.

Schema della procedura di assunzione

Va detto che questa metodica non sostituisce gastroscopia e colonscopia con endoscopio, bensì le integra.
Le indicazioni per il suo utilizzo sono: sanguinamento dell’apparato digerente oscuro non a carico dell’esofago, dello stomaco e del colon e in tutti i casi non rilevabili con colon e gastroscopia. Negli ultimi anni, poi, le indicazioni si sono estese: celiachia, sospetta poliposi, tumori del piccolo intestino, complicanze del morbo di Crohn.
«Si tratta di una metodica di grande importanza per il morbo di Crohn, soprattutto quando ci sono sintomi suggestivi per la presenza della malattia, ma la colonscopia e la gastroscopia risultano negative», precisa Maurizio Vecchi, professore di Gastroenterologia e direttore dell’UO di Gastroenterologia ed Endoscopia della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano. «In questi casi, per lo studio del tenue, si potrebbero eseguire l’entero-tac e l’entero-risonanza, ma la prima dà radiazioni importanti e la seconda può creare problemi di claustrofobia. Inoltre, la capsula è molto più capace di individuare lesioni iniziali come erosioni e ulcere, mentre gli esami TC e RM identificano solo le lesioni che interessano tutto lo spessore della parete intestinale. L’unica precauzione da attuare nell’eseguire la videocapsula in pazienti con il Crohn è evitarla nei pazienti con sospetti restringimenti dell’intestino, che potrebbero causarne la ritenzione. Ormai, però, si è visto che facendo precedere all’esame una capsula patency, ovvero una “finta” capsula che si scioglie se rimane nell’intestino troppo a lungo, il problema è risolto: se passa indenne attraverso l’intestino, allora l’esame può essere eseguito in sicurezza».

Nonostante i suoi vantaggi, la videocapsula in Italia risulta ancora sottoutilizzata rispetto ad altri Paesi europei (benché sia stata inclusa nei nuovi LEA): circa 7.500 casi l’anno contro, per esempio, i 25.000 francesi. Fa eccezione la Regione Lombardia, che ben si posiziona nell’impiego della videocapsula anche rispetto ad altri Paesi UE.
Nel 2017 la metodica è stata inserita nei nuovi LEA, permettendo una teorica tariffazione omogenea sul territorio nazionale, anche se questo ancora non è avvenuto. Le Regioni che rimborsano l’esame con videocapsula sono Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Basilicata, Marche, Piemonte, Trentino Alto-Adige, Val d’Aosta e Umbria.
«I LEA vengono recepiti in termini variabili», ricorda Cristiano Spada, direttore dell’Unità di Endoscopia Digestiva della Fondazione Poliambulanza di Brescia. «Ci sono resistenze importanti: si teme che, laddove venga rimborsata, se ne faccia un uso sconsiderato. Un timore infondato, considerando che nelle Regioni dove è già disponibile non si è registrato questo problema. Anzi, si è visto che tendenzialmente ci si attiene alle indicazioni, le più importanti delle quali sono il sanguinamento oscuro e la malattia di Crohn. Ci sono poi strutture che, non avendo il rimborso, decidono di utilizzare la capsula endoscopica in regime di ricovero in modo da ammortizzare le spese con i DRG. Così, un esame che potrebbe costare 1.000 euro finisce per costarne oltre 2.500. Uno studio recente ha rivelato che, in alcune Regioni, da quando la metodica è stata rimborsata c’è stato un risparmio annuale di circa 1 milione e 700mila euro, erogando l’esame in regime ambulatoriale piuttosto che in regime di ricovero».

Cristina Suzzani