Grandi dimissioni in sanità, nel 2021 tremila medici via dal SSN

Nel 2021 gli ospedali italiani hanno perso quasi tremila medici per dimissioni volontarie e circa duemila tra infermieri e operatori sociosanitari hanno lasciato le strutture sanitarie pubbliche.

«La pandemia da Covid-19 ha fatto da innesco al fenomeno delle grandi dimissioni in sanità, peggiorando le condizioni di lavoro negli ospedali, già difficili per la mancanza di turnover e per gli organici assottigliati da anni di blocco di spesa sul personale», commenta Giovanni Migliore, presidente Fiaso, intervenuto al convegno “Great resignation in sanità”, organizzato dalla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica della Regione Veneto all’auditorium di Venezia Mestre.

I dati sugli addii degli operatori sanitari elaborati da Fiaso sono quelli dell’Inps, del Conto Annuale del Tesoro e dell’Onaosi, e registrano nel 2021 l’abbandono di 2.886 medici ospedalieri (+39% rispetto al 2020), che hanno deciso di proseguire l’attività professionale altrove.
Secondo questi dati, la media nazionale dei medici che hanno lasciato il SSN nello stesso anno è pari al 2,9%, ma in Regioni come la Calabria arriva al 3,8% e in Sicilia al 5,18%. In Lombardia le dimissioni sono arrivate al 43%, il triplo in Liguria e sono passate dal 2,04% al 3,29% in Puglia.

«Ogni anno le aziende sanitarie e ospedaliere perdono medici, infermieri e operatori sanitari, che scelgono di lavorare altrove nel privato. Sono soprattutto professionisti che lavorano in Pronto Soccorso.
Alla base degli abbandoni ci sono le condizioni di lavoro stressanti, dai pesanti turni di servizio con orari poco flessibili ai weekend occupati da guardie e reperibilità, e il precariato che si protrae a lungo con stipendi inadeguati rispetto alla media europea.
Tutte ragioni direttamente collegate con la carenza di personale», è l’analisi del presidente Fiaso Migliore.
«Da tempo Fiaso ribadisce la necessità di superare il tetto di spesa per il personale, fermo al 2004, per procedere con investimenti in risorse umane.
Occorre assumere, anche i medici specializzandi dei primi anni, se necessario, con contratti libero-professionali, per rinforzare gli organici e garantire da un lato, migliori condizioni di lavoro per i dipendenti e dall’altro, un’assistenza più efficiente per i pazienti».

«All’incremento del personale va associata una necessaria gratificazione economica, in particolare per chi lavora nei pronto soccorso delle aree più a rischio e più marginali.
Per recuperare attrattività, però, il SSN deve poter garantire agli operatori valorizzazione professionale e benessere organizzativo.

Tutto questo si fa investendo risorse economiche nel fondo sanitario nazionale, arrivando almeno all’8% del Pil, e sbloccando i tetti di spesa che ci consentirebbero di assumere a tempo indeterminato i nostri professionisti: è questa la richiesta che rivolgiamo anche al nuovo governo».