I costi dello scompenso cardiaco

Red heart and cardiac monitor - ECG
Red heart and cardiac monitor – ECG

Sono anziani e in lieve maggioranza donne in condizioni di salute precarie le persone in terapia con trattamenti non sempre ottimali e destinati, in un caso su due, a ripetuti ricoveri, che peraltro in metà dei casi non sono di natura cardiovascolare. È l’identikit dei pazienti italiani con scompenso cardiaco, osservati nella vita reale e non attraverso l’ambiente protetto degli studi clinici che escludono alcuni gruppi di popolazione. Considerando la finestra temporale di cinque anni, lo scompenso cardiaco ha un tasso di mortalità più che doppio rispetto alla mortalità del tumore al seno (11-27%) ed è superiore a quella causata dal tumore all’intestino (37%).

A delineare la complessità della gestione dello scompenso cardiaco sono i risultati dello studio Arno, condotto dal Core Cineca con il sostegno di Novartis, presentati durante i lavori del congresso della European Society of Cardiology 2015 svoltosi a Londra.

L’indagine si basa sui dati amministrativi di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco ricavati dall’Osservatorio Arno, di proprietà di Core Cineca – il maggior centro di calcolo nazionale, gestito da un consorzio tra settanta università italiane – che ha estratto informazioni riguardanti ricoveri, prescrizioni e procedure ambulatoriali di sette Asl italiane. I dati si riferiscono a un bacino di circa 2,5 milioni di assistiti seguiti in un arco temporale di cinque anni, da gennaio 2008 a dicembre 2012.

«Di solito i pazienti con scompenso cardiaco sono arruolati negli studi clinici secondo precisi criteri di inclusione ed esclusione e proprio per questo i trial non rispecchiano l’effettiva realtà della popolazione con scompenso cardiaco che osserviamo nella pratica clinica quotidiana», afferma Aldo Pietro Maggioni, responsabile del Centro Studi Anmco e coordinatore dello studio Arno. «Questa indagine ha permesso di valutare le caratteristiche cliniche, l’aderenza ai trattamenti raccomandati dalle linee guida internazionali, la probabilità di andare incontro a un secondo ricovero e, soprattutto, i costi complessivi della patologia nell’anno di osservazione dopo la dimissione».

Nel periodo considerato, nelle sette Asl coinvolte sono stati registrati 54.059 ricoveri per scompenso cardiaco; i 41.413 pazienti non deceduti e dimessi con la prescrizione di un trattamento specifico per lo scompenso cardiaco sono stati seguiti per un anno.

Il primo dato emerso riguarda l’età e il sesso dei pazienti: l’età media è 79 anni, almeno dieci in più rispetto a quella riscontrata nei trial clinici; in lieve maggioranza le donne (51%), anche questo un dato quasi doppio rispetto a quello che si osserva nei trial clinici controllati. Tante le comorbidità, la più frequente è l’ipertensione arteriosa con circa il 70% dei casi, seguita da diabete (30,7%), broncopneumopatia cronica ostruttiva o Bpco (30,5%) e  depressione (21%).

«Se consideriamo l’età media del paziente e le frequenti comorbidità», commenta Maggioni, «comprendiamo perché lo scompenso cardiaco sia la prima causa di ospedalizzazione negli over 65. La probabilità di essere ricoverati di nuovo entro l’anno è del 56,6%, oltretutto il 49% di queste riospedalizzazioni non è dovuta a cause cardiovascolari ma ad altri motivi».

L’indagine ha permesso di valutare anche i costi: con una degenza ospedaliera che in media supera i dieci giorni, il Ssn spende complessivamente 550 milioni di euro l’anno; la spesa annuale per paziente è di 11.800 euro, di cui l’85% rappresentato dai costi di ospedalizzazione.

«Si noti», riprende Maggiori, «che il costo delle riospedalizzazioni è quasi il doppio di quello del primo ricovero (oltre 7.000 euro contro circa 4.500 per il primo ricovero). Lo scompenso cardiaco è, a tutti gli effetti, la condizione clinica più grave e costosa tra le patologie croniche e le evidenze dello studio Arno confermano il peso socio-sanitario ed economico di questa patologia che, a causa della difficoltà a respirare e dell’impossibilità a svolgere la normale attività quotidiana e l’esercizio fisico, compromette gravemente la qualità di vita e il vissuto dei pazienti. I risultati dell’indagine dimostrano la necessità di trasferire i dati ottenuti dai trial clinici nel mondo reale. Alla luce del rilevante numero di riospedalizzazioni dovute a motivi non cardiovascolari, se si vuole intervenire con strategie efficaci e ridurre il peso complessivo di questa patologia, bisogna pensare a un approccio multidisciplinare per trattare il paziente nella sua globalità».

Lo studio mostra anche che le indicazioni suggerite dalle linee guida internazionali rispetto ai trattamenti non sempre sono usate al meglio. I farmaci inclusi nelle linee guida comprendono ACE-inibitori, beta-bloccanti e inibitori del sistema renina-angiotensina. Tuttavia nuove terapie si stanno affacciando per la cura dello scompenso cardiaco.