Intellingenza artificiale e digital health sono viste come una possibile soluzione alle tante sfide che l’oggi pone ai sistemi sanitari mondiali, in primis la gestione delle multicronicità e della fragilità, ma anche il miglioramento della compliance ai percorsi terapeutici intrapresi, farmacologici e non.
L’aderenza alle terapie è, infatti, un tassello fondamentale per poter ottenere risultati positivi e duraturi nel tempo, che nel caso della cronicità può significare stabilizzare la patologia ed evitare nuove riacutizzazioni. Al momento è carente, se si pensa che tra i pazienti cronici oscilla tra il 30% e il 50%, a seconda della patologia. Altri ambiti che potrebbero giovare da nuovi modelli sono la programmazione sanitaria, il sostegno alla ricerca e la prevenzione, con l’obiettivo di allungare non solo l’aspettativa di vita, ma l’aspettativa di vita in salute. Al momento sopra i 75 anni risulta sano meno del 30%.
Occorre cambiare paradigmi
Perché queste tecnologie possano davvero migliorare l’esperienza di cura del paziente e dei suoi curanti, rendendo contemporaneamente più sostenibile l’iter per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), occorre modificare il sistema nel suo insieme. A oggi, il nostro SSN funziona ancora per compartimenti stagni: ospedale, medicina generale, ambulatori. Il flusso di informazioni che dovrebbe essere garantito, per esempio, dal Fascicolo Sanitario Elettronico è ancora scarso; prima di implementare i nuovi modelli occorre quindi superare queste barriere storiche, avvicinando gli ospedali al territorio, gli specialisti ai medici di base e così via.
Lo confermano le parole di Giorgio Casati, direttore generale di ASL Roma2, che sottolinea «il rischio è che si introducano solo nuovi strumenti nell’attuale modo di funzionare del sistema, senza una visione complessiva necessaria». Di questo e di altri temi si è discusso durante il convegno “Digital Health by Design – Dati e IA” organizzato al Ministero della Salute nel mese di gennaio 2024. Un confronto necessario, perché sono proprio le istituzioni che devono definire nuovi modelli di servizio e stabilire linee guida di utilizzo chiare degli strumenti, sia in termini di flusso dei dati che di progettazione degli algoritmi di IA. Per farlo al meglio, la collaborazione è essenziale.
Flusso e qualità dei dati
Durante il convegno sono emersi vari ambiti di confronto. Innanzitutto, le criticità che rendono difficile avere un flusso di dati efficiente, tra esigenza di garantire la privacy nella loro raccolta, modalità di condivisione, attenzione alla sicurezza informatica, mancata interoperabilità dei Sistemi Informatici ma anche differenze tra i Sistemi Sanitari e barriere normative.
Limiti che rendono difficile il flusso non solo tra realtà italiane, ma anche tra Italia e altri Paesi europei. Una risposta viene dal European Health Data Space (EHDS), che secondo Marco Marsella, direttore del settore digitale EU4Health della direzione generale Salute della Commissione Europea, «ha il potenziale per rivoluzionare la ricerca sanitaria in Europa, fornendo ai ricercatori strumenti e risorse preziose per esplorare nuove frontiere nella comprensione e nel trattamento delle malattie, migliorando così la salute e il benessere della popolazione».
Parlando di dati sanitari occorre però sottolineare l’esigenza che siano di qualità e portino informazioni utili alla stratificazione della popolazione e ragionamenti di carattere programmatorio. Per esempio, sarebbe utile sapere non solo età e residenza di un paziente, ma anche livello di studio, lavoro, condizione economica. Tutte informazioni utili, per esempio, in ambito epidemiologico. A tal fine, si potrebbero unire digitalmente i dati sanitari con quelli del censimento.
Il ruolo dei medici e delle diverse istituzioni
Un cambiamento di paradigma così forte, come quello portato da IA e Digital Health, richiede la collaborazione di tutti, medici e territorio compreso. Soprattutto in un contesto come quello Italiano, dove la Sanità ha tanti e diversi livelli: Ministero centrale, Sanità Regionale, Aziende sanitarie Locali e così via. Il rischio è che le buone prassi ed esperienze vengano perse e non utilizzate come modelli base per introdurre cambiamenti.
Come sottolinea Paolo Petralia, direttore generale ASL4 Liguria e vicepresidente vicario di FIASO: «io sono medico. E come qualunque altro professionista di una scienza empirica è normale che si impari da chi ci ha preceduto e si trasferisca quello che si sta facendo a quelli che seguiranno, è una cosa scontata. Nel nostro agire quotidiano in sanità, però, questo rischia di non esser sempre vero. Perché noi facciamo le cose e poi non riusciamo a dare continuità di valore: perché nella governance multilivello in cui il nostro Paese avvolge le dimensioni centrali, nazionali, regionali, locali della sanità, spesso ci si perde. E avviene che le aziende sanitarie vengano anche premiate dallo stesso soggetto regolatore come esperienze innovative, avanzate, sperimentazioni utili al sistema e poi, però, non vengano chiamate, per caso, al tavolo dove quelle cose vengono decise».
Per questo occorre che vi sia uno stretto dialogo e collaborazione tra i diversi livelli e istituzioni. Essenziale, inoltre, stabilire dei veri e propri tavoli di lavoro che si concentrino sui diversi ambiti dell’innovazione in corso, con incontri e programmi serrati che portino ad avviare alcune sperimentazioni ma anche a testarne l’efficacia, l’accoglienza e così via.