In Europa reddito e formazione incidono sulle morti per cancro

«In tutto il Pianeta, ogni anno, si stimano 18 milioni di nuovi casi di tumore e sono quasi 10 milioni i decessi. Uno studio ha evidenziato che in Europa l’aumento del rischio di morire di cancro è inversamente proporzionale al diminuire del livello socioeconomico.

Le neoplasie che più risentono del gradiente sociale sono quelle del polmone, stomaco e cervice uterina. Più si comprendono i processi biologici, i fattori di rischio e i determinanti della salute che favoriscono l’insorgere dei tumori, più efficaci diventano la prevenzione, la diagnosi e il trattamento.
Vanno contrastati i principali fattori di rischio, tenendo conto di tutti i determinanti della salute, tra cui istruzione e status socioeconomico. Serve una visione a 360 gradi, che includa anche le condizioni di disagio dei cittadini, per non lasciare indietro nessuno».

Queste le parole di commento di Saverio Cinieri, Presidente AIOM, ai risultati di uno studio europeo che mettono in evidenza l’importanza di fattori socio-economici negli esiti delle neoplasie. Secondo questo lavoro, di cui si è parlato molto in questi giorni, ben il 32% degli uomini europei che muoiono di cancro, e il 16% delle donne, sono poveri e hanno bassi livelli di istruzione.

Se si guarda alla cartina europea, poi, i Paesi con il più alto tasso di mortalità per tumore sono quelli dell’Est. La presenza di un sistema sanitario universalistico stempera le differenze socio-economiche, perché consente l’accesso anche a chi non può permettersi cure costose, ma non è la soluzione a tutto.

In Italia, per esempio, ci sono dei gap da colmare, primo tra tutti l’adesione ai programma di screening che è alta nel Nord del Paese, ma bassa al Sud. Per dare dei numeri, nel 2021 il programma per il tumore al seno, che prevede la mammografia, ha raggiunto il 63% di copertura al Nord, ma solo il 23% al Sud.

Similmente, per lo screening del tumore del colon-retto, si nota un 45% di adesione al Nord e il 10% al Sud. Sono necessarie politiche sanitarie attive per incidere positivamente su questo divario.

Riprende Cinieri: «l’Italia, come altri Paesi mediterranei, sembra soffrire meno delle disuguaglianze sociali nei tumori. Ma vi sono aree su cui servono interventi urgenti, a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini sui corretti stili di vita. Nel 2022, in Italia, sono state stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro. Il 40% dei casi può essere evitato agendo su fattori di rischio modificabili.

In particolare il fumo di tabacco è il principale fattore di rischio, associato all’insorgenza di circa un tumore su tre e a ben 17 tipi di neoplasia, oltre a quella del polmone. Le differenze sociali nel fumo, che vedono più esposte le persone con minori risorse economiche o basso livello di istruzione, nel nostro Paese si mantengono nel tempo ampie e significative, a fronte di una riduzione che coinvolge di più gli individui meno svantaggiati».

Molto da dire anche rispetto all’alimentazione: «secondo stime del World Cancer Research Fund, il 20-25% dei casi di tumore è attribuibile a un bilancio energetico troppo ricco, legato al binomio eccesso ponderale e sedentarietà.
In Italia, il 31% dei cittadini è sedentario e il 10% è obeso, ma queste percentuali raggiungono, rispettivamente, il 45% e il 17% fra coloro che sono in difficoltà economiche o presentano un basso livello di istruzione.
È necessario potenziare le azioni volte a diffondere l’adozione consapevole di uno stile di vita sano e attivo in tutte le età, integrando cambiamento individuale e trasformazione sociale, attraverso lo sviluppo di programmi di promozione della salute».
Il tumore resta una delle prime cause di morte al mondo, con grandi costi personale, sociali ed economici.