La fragilità incide su morte e indipendenza a sei mesi dal ricovero

Quando un paziente giunge in ospedale con una condizione clinica urgente, spesso deve essere ricoverato in Terapia Intensiva. Nel paziente anziano incide molto il livello di fragilità, caratteristica che viene misurata con una serie di scale, ma ancora non c’è consenso a livello mondiale di come utilizzarla ai fini del ricovero in medicina intensiva. Non solo. Al momento non ci sono certezze rispetto all’impatto che la fragilità può avere sulle condizioni di salute del soggetto a lungo termine, anche dopo le dimissioni.

Un team di ricerca giapponese ha allestito uno studio prospettico per valutare quale sia l’associazione tra fragilità all’arrivo in ospedale e mortalità a 6 mesi dall’ammissione in Terapia Intensiva e la qualità di vita dei pazienti.

L’indice scelto per misurare il livello di fragilità è la “Clinical Frailty Scale (CFS)”. Lo studio valuta anche il costo dell’ospedalizzazione per ogni paziente e la mortalità a 28 giorni. 17 i centri di emergenza giapponesi che hanno partecipato allo studio, per un totale di 650 pazienti over 65. Età media del campione, 79 anni. Nel 58.5% dei casi, i pazienti erano maschi.

La maggioranza di questi soggetti è arrivata in ospedale direttamente da casa propria, dove vivevano autonomamente (84.3%) o con assistenza specifica (6.8%). Gli altri pazienti sono giunti da una struttura infermieristica (6.5%) o da un altro ospedale (2.5%). 173 di questi pazienti, pari al 26.6%, avevano un valore di CFS maggiore o uguale a 5, valore che indica una fragilità da lieve in su. Tutti i soggetti sono stati ricontattati a distanza di 6 mesi, chi per telefono, chi per e-mail, per valutarne le condizioni. 79 non hanno risposto, probabilmente perché affetti da demenza o da recrudescenze acute di patologie croniche. Il 21% dei pazienti dello studio è morto entro i 6 mesi di follow-up: gli autori hanno osservato una correlazione positiva tra tasso di morte e livello di fragilità.

Effettivamente, la morte ha colpito solo il 6.2% di chi aveva un CFS pari a 1, ma il 42.9% di chi lo aveva superiore o uguale a 7. Gli autori hanno quindi cercato di stratificare i pazienti in base ai fattori clinici rilevanti nella mortalità, individuando ancora una volta la fragilità come importante nei pazienti over 85 e anche in quelli di età compresa tra 65 e 85 anni.

Lo studio aggiunge che la fragilità incide sulla mortalità indipendentemente dal fatto che il paziente abbia necessitato o meno di ventilazione meccanica durante il ricovero in Terapia Intensiva, e dalla presenza di patologie severe.

La fragilità è un fattore importante non solo per prevedere il rischio di morte, ma anche per le successive condizioni del paziente: si vede, infatti, che la possibilità di essere dimessi al proprio domicilio, o a quello di un parente, diminuisce con l’aumentare del livello di fragilità: ciò significa che ne mina l’indipendenza. Non ci sono, invece, relazioni tra fragilità e costi ospedalieri. Misurare la fragilità di un paziente anziano in arrivo all’Unità di terapia intensiva è quindi importante per poterne valutare correttamente la prognosi.

(Lo studio: Inaba, M., Naito, H., Yorifuji, T. et al. Impact of frailty on long-term mortality in older patients receiving intensive care via the emergency department. Sci Rep 13, 5433 (2023). https://doi.org/10.1038/s41598-023-32519-2)