L’attacco di Covid-19 al sistema donazioni e trapianti in Italia è stato contenuto. Lo attestano i dati dell’attività della Rete Nazionale Trapianti, che confermano l’eccellenza del sistema salute del nostro Paese. Nei mesi più critici della pandemia, a partire da marzo, si è infatti registrata una riduzione del 6% nel numero di donatori, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e del 7-8% in termini di trapianti eseguiti, a fronte del 40-60% di altri Paesi europei, anche fra quelli con una rete trapianti ben collaudata.

«L’analisi effettuata dalla Rete Nazionale Trapianti», dichiara la dottoressa Anna Guermani, responsabile del Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di organi e tessuti del Piemonte, «evidenzia che il buon funzionamento dell’intero sistema è stato possibile anche grazie a un altro dato positivo, la riduzione delle opposizione alla donazione di organi e tessuti da parte dei cittadini, dei famigliari o degli aventi diritto di espressione di volontà alla donazione».

Dunque l’Italia chiude il 2020 con un trend soddisfacente per donazioni e trapianti, con Regioni in controtendenza, come Piemonte e Valle d’Aosta, che hanno incrementato l’operatività rispetto al 2019.

«L’attività regionale», aggiunge il professor Antonio Amoroso, coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, «si è assestata su valori superiori al 20% rispetto all’anno scorso, a conferma che le strutture sanitarie coinvolte nel processo di donazione-trapianto, benché sottoposte allo stress dovuto alla pandemia, hanno saputo finalizzare le donazioni per il trapianto nel rispetto dei bisogni dei propri pazienti e del territorio e delle indicazioni del Ministero della Salute, che ha incluso i trapianti tra gli interventi d’emergenza non sospendibili anche nei mesi di maggior rischio per i pazienti trapiantati, ancora più fragili rispetto al resto della popolazione con patologia e più esposti a contaminazione».

Il livello di rischio dei pazienti in attesa di trapianto

Studi clinici evidenziano un rischio d’infezione e complicanze associate e/o dipendenti da Covid-19 circa 2-3 volte superiori rispetto alla popolazione sana, complici l’età, il sesso maschile, la patologia in atto tanto importante da richiedere un trapianto, eventuali altre comorbidità. Tutti fattori di rischio acclarati e riconosciuti per la contrazione di Covid-19.
Eventi che hanno richiesto l’adozione di misure di tutela ancora più stringenti e sofisticate per il paziente ricevente in attesa e di attenzione verso il donatore.

«La prima misura di sicurezza in corso di pandemia», precisa Amoroso, «si è indirizzata verso il donatore, dovendo escludere qualunque rischio d’infezione da Covid-19 per non arrecare più danno che beneficio al ricevente.
Pertanto da marzo tutti i potenziali donatori vengono indagati per la presenza del virus attraverso esecuzione di tamponi, attuazione di lavaggi bronco-alveolari e analisi accurata del liquido prelevato dai polmoni, che viene esaminato alla sorgente modo da essere certi di utilizzare organi solo di donatori negativi a Covid-19.
La stessa attenzione poniamo ai riceventi, ai quali va evitato il rischio di (sovra)esposizione all’infezione, già aumentato, trattandosi di persone sottoposte a terapie immunosoppressive, che abbassano le difese immunitarie, ma necessarie per anticipare
la reazione di rigetto e addormentare la reattività immunitaria nei confronti dell’organo che viene trapiantato.
Da qui, dunque, anche la necessità di garantire che tutto il percorso del trapianto avvenga in strutture controllate e non contaminate da possibile infezione».

Le potenzialità di rischio

Non sono solo epidemiologiche o individuali, legate cioè all’immunosopressione o
alla possibilità di essere veicolo d’infezione. In parte dipende anche dalla tipologia di organo da trapiantare.
«Studi internazionali dimostrerebbero che, per esempio, il trapianto di fegato si associa a un rischio di infezioni e complicanze inferiore rispetto al polmone, stante che essendo l’organo bersaglio di Covid-19 può di per sé rappresentare un rischio maggiore. A questo si aggiunge il fatto che una parte dei pazienti in attesa di trapianto è ospedalizzata o deve recarsi di frequente in strutture sanitarie, come coloro che attendono un trapianto di rene, per sottoporsi a dialisi mediamente 2-3 volte a settimana, esponendosi a un rischio maggiorato di contrarre il virus. Non solo, dati italiani evidenzierebbero un rischio
superiore di contrarre il Covid-19 nei pazienti in attesa di trapianto rispetto a coloro che lo hanno già ricevuto. Dunque, anche in epoca di pandemia è più sicuro sottoporsi a trapianto che attenderlo».