La sanità è terreno di sfide. Cliniche, umane, sociali ma anche tecnologiche e organizzative a supporto delle prime. Approcciare la sanità senza una visione di insieme che tenga conto del tecnicismo professionale ma anche delle ricadute organizzative e dei conseguenti fabbisogni tecnologici significa rischiare quanto meno di perdere di vista ciò che, agevolando alcuni aspetti dell’attività, può aiutare il rapporto medico-paziente e quindi la qualità della cura.
Preme ricordare che una sanità senza l’uomo (tutti: il medico, il paziente e, fuori dall’ospedale, la famiglia) è … una fabbrica, cosa che non vorremo mai.
Questo periodo è particolarmente ricco di sfide: tutto quello che stiamo affrontando (la costruzione degli edifici che dovranno ospitare la medicina del territorio, i sistemi informatici che dovranno favorire lo scambio di informazioni, le tecnologie a supporto del percorso diagnostico-terapeutico, le scelte organizzative destinate a garantire una corretta, costante ed efficace presa in carico del paziente) chiede una passione, un’attenzione e un’intelligenza di cui solo l’uomo è capace. E lo è quanto più non perde di vista l’“altro” uomo, destinatario della azione di cura.
In questo senso, i professionisti della salute – non solo i clinici – sono orientati al paziente, ciascuno secondo una propria etica, capacità e inclinazione professionale che ci connota e distingue, ma che non può non essere il substrato di chi lavora all’interno di un Servizio Sanitario.
Allora il giudizio (anche critico) su quello che stiamo facendo è utile per migliorare la nostra azione e il nostro bagaglio culturale. E la lettura delle testimonianze di chi sta affrontando queste sfide (ed è disposto a raccontarle) ci aiuta su argomenti specifici e ad acquisire quella visione di insieme fondamentale per fornire una risposta corretta ai bisogni dei pazienti in primis e poi delle nostre organizzazioni.