Lista d’attesa chirurgica e strategie internazionali per ottimizzarla

L’intervento chirurgico è un atto di cura essenziale in alcune patologie, ma per essere efficace deve essere svolto in tempi adeguati. Tempi che non sempre riescono a essere rispettati. Nel nostro Paese, per esempio, i due anni di pandemia hanno inciso profondamente su un SSN già gravato dai tagli alla sanità perpetrati negli anni precedenti: oggi questa situazione si traduce in ritardi e liste d’attesa lunghe non solo nell’esecuzione di esami di routine e di prevenzione ma anche di alcuni interventi chirurgici programmati.

Che cosa sta accadendo nel resto del mondo e quali sono le politiche portate avanti all’estero per migliorare la gestione del tempo di attesa alla chirurgia? Stando a una revisione internazionale condotta da due Università canadesi, quella di Alberta e di Calgary, il problema non è solo nostro, ma è nell’agenda di 21 del 34 Stati interpellati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico nella sua pubblicazione “Waiting Times for Health Services”, del 2020.

I ricercatori canadesi si sono mossi prima individuando possibili soggetti da intervistate in merito alle politiche utilizzate per migliorare i tempi di attesa chirurgici e alla loro implementazione nel proprio distretto, per poi proseguire con un’intervista vera e propria, condotta da tre persone in contemporanea: uno che poneva le domande e due che prendevano appunti. Il tutto è avvenuto telefonicamente. L’idea alla base del lavoro è individuare best practice da tradurre poi in linee guida vere e proprie. 13 i Paesi presi in considerazione: Australia, Danimarca, Francia, Germania, Israele, Italia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia, Svizzera, UK e Stati Uniti d’America.

Questa prima fase è servita per individuare i temi principali su cui focalizzare la successiva scoping review, per la quale gli autori hanno selezionato 92 articoli di ricerca, 242 documenti presenti nella letteratura grigia e 32 interviste, queste ultime relative alla situazione di 17 Paesi: quelli già citati più Hong Kong, Spagna, Finlandia, Portogallo e Irlanda. Già solo questi numeri danno indicazione dell’importanza del tema trattato. Sono molti i Paesi, infatti, che vivono lo scontento dei cittadini che chiedono servizi sanitari più rapidi ed efficienti.

Ecco alcune delle soluzioni individuate che si sono dimostrate effettivamente utili nel ridurre il tempo che intercorre tra la decisione dello specialista di sottoporre il paziente a intervento chirurgico e l’effettiva esecuzione dello stesso. Alcuni Paesi, come Danimarca, Australia e Norvegia, si sono mosse chiedendo una collaborazione alle strutture privare perché eseguano parte degli interventi in regime di sanità pubblica, un po’ come avviene anche da noi. I fondi economici sono statali. Questo approccio sembra essere efficace, stando agli studi revisionati: effettivamente riduce il carico sul servizio sanitario pubblico, accorciando le liste d’attesa, ma sembra che ciò possa portare a una concentrazione di casi complessi nel Pubblico. Inoltre, in alcuni casi sembra che vi sia un impatto economico diretto sul paziente.

In altre realtà si punta su una maggior efficienza della chirurgia in sé, per esempio trattando i casi più semplici ed elegibili in day surgery: ciò ridurrebbe le cancellazioni per indisponibilità di letti e permetterebbe di aumentare il numero di interventi effettuati. Certo, occorre poi seguire il paziente a casa. Anche standardizzare il percorso chirurgico sembra avere buoni esiti, riducendo il tempo di attesa del 12%, oltre che la durata del ricovero. Ci sono altre pratiche che gli autori hanno verificato essere efficaci. La prima è, senza dubbio, di carattere politico: si sceglie di destinare maggiori fondi alla sanità per migliorare le parti di servizio che sono deficitarie, come l’assunzione di maggiore personale, l’aumento delle sale operatorie o lo svecchiamento dei blocchi operatori.
Sembra poi essere utile fare una lista dei pazienti per priorità clinica, così da assicurarsi di intervenire per tempo, e centralizzare parte del servizio, o tutto, che lo si applichi nel processo di pre-ammissione ospedaliera o all’esecuzione di chirurgie complesse, in un’ottica di hub and spoke.

Importante anche il ruolo degli infermieri che possono gestire in autonomia alcune parti del percorso iniziale, dalla conoscenza del paziente agli incontri preanestesia. Da un punto di vista di sistema, due approcci mutuati dall’industria possono essere utili nell’individuare gli aspetti da migliorare, in particolare il Lean e il Six Sigma. Ci sono esempi anche italiani di realtà che hanno migliorato gli outcome chirurgici proprio utilizzando questi approcci. Lo studio descrive anche altri metodi, non tutti supportati da evidenze scientifiche di efficacia, alcuni dei quali sembrano però più promettenti di altri.
In particolare, gli autori si riferiscono a: centralizzazione delle chirurgie elettive; centralizzazione della programmazione chirurgica; efficientamento delle sale operatorie; programmi di fast track; scelta da parte del paziente dell’ospedale o del chirurgo in base alla lor disponibilità; chirurgie base effettuate da medici di medicina generale opportunamente formati.

(Lo studio: Tania Stafinski1, Fernanda N. I. Nagase1, Mary E. Brindle, Jonathan White, Andrea Youn, Sanjay Beesoon, Susan Cleary, Devidas Menon. Reducing wait times to surgery—an international review. Journal of Hospital Management and Health Policy. Settembre 2022. Doi: 10.21037/jhmhp-21-96)

Stefania Somaré