L’oncologia deve puntare al territorio

Oggi in Italia siamo di fronte a 3,6 milioni di casi prevalenti di tumore, un numero imponente che richiede una profonda riorganizzazione dell’oncologia, che non può basarsi più sulle sole strutture ospedaliere.

I bisogni del paziente oncologico sono diversi e articolati e alcuni di questi possono trovare una più appropriata soddisfazione in ambito territoriale. La scommessa per il futuro dell’oncologia nell’era post-pandemica è quella di ridisegnare un percorso oncologico tra ospedale e territorio – coadiuvato dall’utilizzo di telemedicina e nuove tecnologie – garantendo una loro piena integrazione.

All’interno della terza edizione del Cracking Cancer Forum, tenutosi quest’anno in modalità mista – presenza e remoto – tra il 18 e il 19 novembre, grande attenzione è stata dedicata al tema dell’oncologia territoriale quale nuovo baluardo dell’era post pandemica. Il territorio si è affermato come punto di snodo essenziale proprio con il Covid-19 per l’oncologia ma non soltanto.

«A oggi ci si scontra infatti con 3,6 milioni di casi prevalenti, una popolazione pari a quella dell’intera Toscana, che presenta bisogni diversi che vanno dalle CAR-T ad aspetti di natura più sociale che medica.

In mezzo ci sono i guariti che necessitano di un reinserimento sociale e i cronici, con evidenti colli di bottiglia per gli ospedali che si trovano spesso a dover svolgere funzioni improprie che li intasano nel dispiegamento di quelle proprie», ha sostenuto Gianni Amunni, direttore generale ISPRO – Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica, presidente dell’Associazione Periplo e responsabile della rete oncologica Toscana.

Un necessario ripensamento

«Occorre dunque un ripensamento radicale per l’oncologia che metta a disposizione del paziente nuovi setting assistenziali in grado di rispondere meglio alle sue esigenze: dai letti di cure intermedie a tutte le articolazioni del Chronic Care Model, al domicilio assistito e protetto.

Occorre ridisegnare i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali – PDTA e riscrivere, per ogni fase della malattia, quello più adeguato, facendo al contempo chiarezza e sottolineando che non si tratta di creare due oncologie, una ospedaliera e una territoriale, ma, all’interno di una regia unica, fornire più strumenti al team della presa in carico», ha proseguito Amunni.

Questo modello mette in crisi i confini stessi del lavoro degli oncologi, ridisegnando i rapporti tra professionisti e andando a centralizzare la figura del medico di famiglia. La pandemia ha certamente agito da forte acceleratore di processo, occorre tuttavia ora uscire dalla logica emergenziale e creare nuovi percorsi, delocalizzando alcune attività – dalla riabilitazione alla nutrizione agli screening – così come alcuni iter terapeutici.

Finora il territorio è rimasto essenzialmente estraneo se non per quanto riguarda i follow-up. Tuttavia, con la crescente cronicizzazione dei pazienti oncologici appare necessario delocalizzare numerose attività a livello locale.

Carenza di personale e nuove tecnologie

«Uno dei limiti più significativi del sistema», ha sottolineato Giordano Beretta, presidente Fondazione AIOM e past president AIOM, «risiede nella carenza di personale, insufficiente a soddisfare le necessità del territorio. In questo, tuttavia, la telemedicina può giocare un ruolo determinante anche agevolando una maggiore comunicazione tra professionisti afferenti a setting assistenziali diversi, puntando a una gestione condivisa del paziente. In questo senso più che un anticorpo organizzativo, occorre superare un anticorpo culturale».

La gestione del paziente può del resto avvenire per la maggior parte delle attività di cura presso il domicilio – elemento questo che gioca un ruolo importante anche sulla soddisfazione e la qualità della vita di quest’ultimo. Basti pensare tuttavia che circa il 50% delle terapie oncologiche sono terapie orali. I pazienti devono recarsi in ospedale solo per prendere il farmaco.

«In questo, tuttavia, esistono limiti imposti dall’AIFA, in base ai quali non è possibile dare al paziente 2,3 confezioni del farmaco insieme. Durante la pandemia, tuttavia, un ruolo determinante è stato giocato anche dalle farmacie ospedaliere, che portavano i farmaci oncologici al domicilio del paziente», ha proseguito il past president AIOM.

Reti per evitare il congestionamento degli ospedali

Il problema nodale rimane quello del reperimento delle risorse; purtuttavia, la creazione di reti territoriali garantirebbe anche ingenti risparmi al SSN, riducendo drasticamente il numero di accessi in pronto soccorso dovuti, per i pazienti oncologici, in molti casi da acutizzazione del dolore.

Un ruolo importante in questo scenario viene giocato dalle associazioni di carattere volontaristico, così come dalle reti oncologiche, che devono essere sempre più inclusive e collaborative.
«Il territorio è ampio e fragile, ma dobbiamo farcela», ha concluso Beretta.

Integrazione, cruciale per le reti

Oscar Bertetto, presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione per la Prevenzione e la Cura dei Tumori in Piemonte Onlus, ha sostenuto che le reti oncologiche sono entrate nella seconda fase in cui il valore dell’integrazione si è imposto come centrale. Importanti in tal senso le cartelle cliniche informatizzate.

«Occorre pensare in modo differente, riscrivere e poi riorganizzare», ha commentato Fiorenzo Corti, vicesegretario FIMMG. «Di fronte al lavoro che si intende fare non basteranno neppure i fondi del rifinanziamento del Fondo Sanitario Nazionale. Non possiamo continuare a pensare che le risorse non sono sufficienti, occorre ottimizzare le risorse di cui si dispone, introducendo elementi che permettano il superamento del pagamento a prestazione, andando verso una modalità di presa in carico del percorso del paziente».

Il ruolo chiave del medico di medicina generale

Proprio parlando di risorse, ha ricordato Corti, «importante è il ruolo giocato dai medici di medicina generale che possono agire in modo significativo anche sensibilizzando verso iniziative di prevenzione primaria – adozione di stili di vita sani, una adeguata alimentazione, assenza di fumo o assunzione di alcool – e secondaria – screening piuttosto che intercettando la malattia ai primi segnali sospetti consentendo una diagnosi precoce e migliori outcome prognostici».

La rete come modello vincente in oncologia

«La rete rappresenta chiaramente il modello organizzativo migliore di presa in carico del paziente oncologico, anche se ancora oggi ci si scontra con regioni che non ne hanno ancora istituita una piuttosto che con reti esistenti solo sulla carta, riproducendo il meccanismo dell’Italia a più velocità. Occorre assicurare, per il futuro, una equità di presa in carico e un equo accesso all’innovazione», ha ricordato Amunni. Massimo Aglietta, coordinatore responsabile degli indirizzi strategici della rete oncologica del Piemonte – la più vecchia insieme alla Toscana – ha raccontato che la rete piemontese si è rinnovata per fornire maggiore centralità ai territori.

«L’obiettivo primario è oggi quello di avere PDTA uguali in tutta la Regione così che il paziente possa beneficiare della stessa tipologia di presa in carico e qualità dell’assistenza».

L’organizzazione per il post-Covid

L’oncologia mutazionale rappresenta oggi una grande risorsa, anche se gli studi clinici vengono spesso approvati sulla base di studi ridotti e non è possibile conoscere la reale efficacia del farmaco sulla popolazione generale. Anche in questo le reti oncologiche rappresentano le uniche strutture in grado di produrre delle evidenze a partire dalla pratica clinica.

La componente digitale oggi poi può migliorare il sistema di monitoraggio del paziente così come il lavoro di squadra tra professionisti rappresenta un atout insostituibile.
L’esperienza del Covid ha aperto la strada a scenari nuovi e impensabili, determinando tuttavia gravi ritardi in campo oncologico. La sospensione degli screening, la riduzione delle visite specialistiche e di momenti diagnostici di approfondimento ha determinato un aggravio per l’oncologia che si è tradotto in un numero crescente di tumori e diagnosi in stato avanzato di malattia.

«La pandemia ha evidenziato la carenza del territorio», ha evidenziato Massimo Di Maio, segretario generale AIOM, «evidenziando tre priorità per il futuro per rispondere alle necessità crescenti: uniformare i progetti di telemedicina a livello nazionale; lavorare a un’integrazione delle piattaforme informatiche; lavorare per un patient report outcome».
Occorre tuttavia una normativa sia per la telemedicina, sia per altri aspetti, a tutela di una equità dei percorsi di presa in carico e di cura che oggi ancora in molte realtà restano assenti.

Elena D’Alessandri