Il Covid-19 non ha cancellato le altre patologie, che devono continuare a essere curate in modo adeguato. Tra queste ci sono le malattie oncologiche.

Come si sono adattati i reparti di Oncologia?

Rossana Berardi

La professoressa Rossana Berardi, direttore della Clinica Oncologica degli Ospedali Riuniti Ancona, ha cercato di rispondere a questa domanda con un sondaggio tra gli operatori: le 400 risposte pervenute restituiscono l’immagine di un settore che è riuscito a reggere l’urto della pandemia, con il 63,7% degli oncologi ospedalieri che ha garantito continuità assistenziale e il 58% dei centri che ha saputo gestire le risorse disponibili.

Tuttavia, il 56% degli oncologi è certo che i percorsi terapeutici di questo periodo siano di qualità inferiore rispetto al periodo precedente la pandemia.
Risalta, inoltre, un altro dato poco piacevole: il 35% degli oncologi non è stato informato o ha ricevuto poche indicazioni su procedure e raccomandazioni da seguire per affrontare l’emergenza.
Inoltre, la formazione è stata ritenuta scarsa dal 55% degli specialisti.

Un altro elemento preoccupante riguarda i dispositivi di protezione individuale che, anche in questo caso, non sono stati distribuiti in modo capillare: il 21% degli specialisti afferma di non averne ricevuti di adeguati, mentre il 55% sottolinea che la fornitura è stata parziale.

Spiega la professoressa Berardi: «la nostra specialità è stata profondamente segnata dall’emergenza Covid-19, anche perché i pazienti colpiti da tumore sono fragili e rischiano di subire più danni in caso contraggano l’infezione.
Pertanto, continuiamo a seguire i malati oncologici positivi che sono in cura nei reparti Covid-19.
Vi sono aree di miglioramento. Anzitutto, vanno differenziati i percorsi di cura tra pazienti contagiati e non infetti. Inoltre, a un mese dall’inizio della pandemia, cambiano le prospettive e ogni paziente va considerato positivo, fino a prova contraria.
Per questo tutti gli operatori devono essere dotati di protezioni.
Non vi sono ancora linee guida che ci indichino quali trattamenti possano essere considerati differibili e come posticipare le cure, senza porre i pazienti a rischio di non ricevere un’adeguata terapia anticancro.

L’assenza di raccomandazioni specifiche in questo senso si riflette anche sullo stato d’animo degli specialisti: il 60% afferma di essersi sentito preoccupato al momento di rinviare un trattamento oncologico o un esame strumentale, anche se il 90% ritiene che il paziente abbia ben compreso le motivazioni della scelta.
La condivisione delle decisioni è fondamentale, soprattutto in questa fase.
Un articolo apparso su Nature Reviews Clinical Oncology dà qualche suggerimento: nelle patologie neoplastiche evolutive non si possono procrastinare i trattamenti, scelta che va, invece, adottata in caso di tumori stabili o di terapie con finalità palliative che non dimostrano efficacia».

Una necessaria riorganizzazione riguarda, quindi, la separazione dei percorsi di cura tra pazienti positivi e pazienti non positivi, ma anche i team dovrebbero essere divisi, per ovvie ragioni di sicurezza.
Purtroppo, questo è un aspetto difficile da garantire, perché soprattutto nelle Regioni più colpite spesso uno specialista lavora in più squadre per sopperire alla mancanza di personale.

«Se un operatore è contagiato dal virus, l’intero gruppo diventa a rischio d’infezione.
Inoltre, vanno sottoposti a tampone tutti gli operatori sanitari, inclusi coloro che non presentano sintomi».

Quella del tampone a tutti gli operatori sanitari è una richiesta che si sente fare da più parti, in questi giorni, ma non è sempre garantita.
Il sondaggio evidenzia questa criticità: il 28,9% degli oncologi non è stato sottoposto a tampone, il 21,1% vi è stato sottoposto solo se sintomatico, il 34,3% se asintomatico in seguito a contatto con casi noti e solo il 15,7% almeno una volta indipendentemente da sintomi o contatti.

Una situazione che porta conseguenze emotive e psicologiche: timore di infettare i propri famigliari, peggiore qualità del sonno, maggiore livello di stress e minore capacità di concentrazione.
Un aiuto potrebbe venire dai test sierologici.

Il sondaggio è stato possibile grazie al sostegno del professor Gian Luca Gregori, rettore dell’Università Politecnica delle Marche, e del dottor Michele Caporossi, direttore generale degli Ospedali Riuniti di Ancona.
Importante è anche l’aiuto dell’équipe diretta dalla professoressa Berardi: Zelmira Ballatore, Filippo Merloni, Nicoletta Ranallo e Lucia Bastianelli.

Stefania Somaré