Long term care, nuovi dati sui servizi

Sono stati presentati i dati del secondo Osservatorio Long Term Care (LTC), realizzato da Cergas – SDA della Bocconi con il supporto di Essity, il cui obiettivo è tracciare un’analisi dello stato del settore delle cure a lungo termine in Italia e metterne in evidenza eventuali cambiamenti e innovazioni.

Il primo dato è che a fronte di un invecchiamento della popolazione e, quindi, di un aumento degli over 65 non autosufficienti, negli anni passati la capacità del sistema pubblico di andare incontro alle famiglie non è cambiato, attestandosi a circa il 10,2% del totale tra RSA e Centri Diurni.

Vi poi un aspetto che siamo purtroppo abituati a citare, quando si parla di sanità in Italia: la presenza di disomogeneità a livello regionale, in questo caso tra Nord e Sud.
Nel dettaglio, se nel primo caso la rete di servizi pubblici e privati e di caregiver è maggiore (benché non ancora sufficiente), nel secondo sono per lo più i famigliari a prendersi cura dei soggetti anziani e non autosufficienti.
Dal Rapporto emerge altresì che sono proprio i caregiver la soluzione al momento più utilizzabile per dare un sostegno ai soggetti fragili: lo dimostra il fatto che hanno superato il milione di unità.

Le Regioni con meno servizi per le persone anziane non autosufficienti sono Molise, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria, Abruzzo e Campania, dove la percentuale di copertura va dal 14 al 30% massimo.
Ciò significa che almeno il 70% dei soggetti che necessitano di cure continue vengono sostenuti dai famigliari.

Valle D’Aosta, Umbria, Toscana, Sardegna, Lazio, Friuli, Liguria ed Emilia-Romagna hanno invece un tessuto più ricco di caregiver che riescono, da soli, a coprire dal 41% al 65% delle necessità della popolazione.
Le Regioni nelle quali è più semplice trovare un sostegno per un proprio genitore, per esempio, sono Veneto, Piemonte, Lombardia e Provincia Autonoma di Trento: qui l’insieme di caregiver e rete pubblica riesce a coprire oltre il 70% dei bisogni.

Elisabetta Notarnicola, Associate Professor of Practice, Divisione Government, Health e Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management, ha così commentato questo spaccato: «questi dati mostrano profonde differenze tra territori regionali che corrispondono a diversi contesti socioeconomici, ma anche a diversi modelli di welfare pubblico e articolazione del settore sociosanitario. Esistono infatti aree più organizzate, nelle quali c’è stato un più alto investimento nel settore LTC, che nel tempo ha permesso una buona strutturazione del sistema sociosanitario accompagnato anche da una maggiore organizzazione delle famiglie che scelgono di rivolgersi a servizi privati e strutturati. In altri contesti, invece, il caregiving familiare è molto più intenso e continua a rimanere la prima (e talvolta unica) risposta».

Il problema è che la popolazione continua a invecchiare, soprattutto con l’ondata dei figli del “baby boom” che oramai iniziano ad avere più di 60 anni. Se si vuole che il welfare pubblico possa resistere a questo cambiamento demografico, occorre che vi sia un cambio di paradigma nelle politiche e nei servizi offerto.

«Rispetto al primo rapporto, che aveva l’indubbio merito di fare ordine tra i dati di un sistema altamente frammentato, facendo luce in particolare sul fronte del bisogno della popolazione anziana non autosufficiente», dichiara Massimo Minaudo, amministratore delegato Essity Italia, «con questo secondo rapporto intendiamo approfondire ulteriormente la tematica, cercando soprattutto di indagare quella che potrebbe essere l’evoluzione del settore nei prossimi anni e delle possibili innovazioni che potrebbero essere sviluppate in futuro».

E infatti il Rapporto ha cercato di analizzare anche l’importanza che il tema ha per i diversi Governi regionali e ha mostrato che tra il 2015 e il 2019 sono stati emessi 365 atti regionali sul tema, che si trova quindi nelle agende dei decisori politici. Tra questi interventi, alcuni (10,7%) sono tesi proprio a modificare il paradigma oggi in essere.
Ciò che manca è, in talune realtà, non solo la cultura al cambiamento, ma anche i fondi per portarlo avanti, un problema che hanno anche le realtà che stanno cercando di innovare. O quantomeno, se gli investimenti ci sono, sono ancora poco strutturati: questo è un altro dato del Rapporto.
Ciò che occorre fare è quindi non solo strutturare meglio gli investimenti, ma anche promuovere ricerca e sviluppo per apportare innovazione tecnologica al settore. Essenziale, sottolineano però dal Cergas e da Essity, è che i cambiamenti vengano affrontati coinvolgendo i gestori dei servizi pubblici e anche le famiglie.

Stefania Somaré