Malattia di Pompe: scoperta la struttura dell’enzima coinvolto

Malattia di Pompe: scoperta la struttura dell'enzima coinvoltoSi chiama alfa-glucosidasi acida (Gaa) ed è un enzima che in una fisiologia sana favorisce la degradazione del glicogeno nel lisonomi muscolari. Quando questo enzima non viene prodotto in quantità sufficiente, il glicogeno resta nei lisosomi e determina devastazioni nella cellula.
La mancata produzione genetica di alfa-glucosidasi acida (Gaa) è definita Malattia di Pompe: si tratta di una patologia rara, che riguarda solo 10.00 individui in tutto il mondo e 300 in Italia. I suoi effetti si manifestano a livello dei muscoli scheletrici e del cuore. La struttura di questo enzima è stata svelata da un team di ricerca internazionale che vede vari enti collaborare tra loro: Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs) di Marsiglia, l’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibbr-Cnr), l’Università di Napoli Federico II e il Telethon Institute of Genetics and Medicine (Tigem) di Napoli.

Come hanno fatto? Utilizzando la diffrazione a raggi X.
Spiega Marco Moracci, ricercatore associato dell’Ibbr-Cnr e docente presso il Dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli: «abbiamo determinato la struttura tridimensionale dell’alfa-glucosidasi acida in forma libera e legata a diversi chaperoni che potranno prevenire l’inattivazione dell’enzima e agire da farmaci».
Infatti, oltre a individuare la struttura enzimatica, i ricercatori hanno identificato molecole che possono prevenirne l’inattivazione, contrastando la patologia. Questi farmaci forse permetteranno di migliorare la cura della malattia di Pompe.
Spiega Giancarlo Parenti, docente presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università di Napoli Federico II e ricercatore del Tigem di Napoli: «attualmente si utilizza la terapia enzimatica sostitutiva (Ert), che consiste nel somministrare ai pazienti dosi massicce di enzima in modo da attenuare l’accumulo di glicogeno. Nonostante i benefici clinici della Ert, la risposta dei pazienti è variabile e la terapia non del tutto efficace. Per questo, da alcuni anni stiamo studiando un approccio alternativo, la terapia con “chaperoni” farmacologici o Pct. Si tratta di piccole molecole in grado di legarsi sia all’enzima mutante sia a quello normale che viene usato per la terapia sostitutiva, aiutandolo a raggiungere il lisosoma per espletare la propria funzione di smaltimento del glicogeno».

Stefania Somaré