È disponibile online il nuovo rapporto di Fondazione GIMBE sulla mobilità interregionale, relativo al 2021, anno che ha visto un incremento della spesa da 3,33 miliardi di euro a 4,25 miliardi di euro.

Nino Cartabellotta

Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE ricorda che «la mobilità sanitaria è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese». Opinione supportata dal fatto che, nel Report, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, essendo molto attraenti, mentre Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo concentrano quello passivo. 

«Un gap – riprende Cartabellotta – diventato ormai una “frattura strutturale” destinata a essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute». Non è un caso se le Regioni del Nord che più attirano pazienti dalle altre sono tra i principali promotori proprio dell’autonomia differenziata. Approfondiamo i dati del Report.

Mobilità attiva e passiva

I dati utilizzati per questo Report sono quelli economici aggregati. Obiettivo, analizzare mobilità attiva, passiva e saldi, e i flussi trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute. Partiamo con la mobilità attiva, che vede la Lombardia in testa con il 18,7%, seguita da Emilia-Romagna (17,4%) e Veneto (12,7%).

Altre Regioni attrattrici sono Lazio (9,5%), Piemonte (6,8%), Toscana (4,9%) e Campania (4,4%) che, insieme, pesano per un 25,6%. Se si guardano i dati di mobilità passiva, invece, in testa ci sono Lazio (12%), Lombardia (10,9%) e Campania (9,3%) che, da sole, generano quasi un terzo della mobilità passiva, con debiti che superano i 300 milioni di euro.

Se, quindi, nella mobilità attiva era netta la separazione tra Nord e Sud, in quella «passiva le differenze sono più sfumate tra Nord e Sud. In particolare, se quasi tutte le Regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in 4 grandi Regioni del Nord che presentano un’elevata mobilità attiva. Una conseguenza della cosiddetta mobilità di prossimità, determinata da pazienti che preferiscono spostarsi in Regioni vicine con elevata qualità dei servizi sanitari», spiega Cartabellotta.

Saldi attivi tutti al Nord

Come abbiamo visto, le stesse Regioni che generano maggior mobilità attiva sono anche tra i primi posti per mobilità passiva, quindi, occorre dare uno sguardo ai saldi. Così facendo si conferma che le regioni a saldo positivo superiore ai 200 milioni di euro sono tutte al Nord e quelle con saldo negativo superiore a 100 milioni di euro tutte a Sud. Per questo Cartabellotta ha già sottolineato che la divisione Nord/Sud è già strutturale.

Ma quali sono le prestazioni che portano i pazienti a uscire dalla propria regione per andare in un’altra? L’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari e in day hospital (69,6%) e le prestazioni di specialistica ambulatoriale (16,4%). Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso). Il Report valuta anche un altro tipo di mobilità, ovvero quella verso le strutture private.

Più del 50% dei soldi spesi va ai privati

Il Report non fa che confermare un trend oramai noto, che vede il cittadino scegliere la struttura privata invece di quella pubblica. Ciò accade primariamente per evadere le liste d’attesa, ma non solo. Guardiamo i numeri: nel 2021 la spesa per ricoveri e prestazioni specialistiche in mobilità è andata per il 54,6% a strutture private, ovvero 1.727,5 milioni di euro contro 1.433,4 milioni di euro. Le differenze sono più nette per i ricoveri ordinari e i day hospital, con 1.426,2 milioni di euro al privato contro 1.132,8 milioni di euro al pubblico.

La situazione non è la medesima in tutte le Regioni, come spiega Cartabellotta: «il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private varia notevolmente tra le Regioni ed è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva delle strutture private accreditate, oltre che dell’indebolimento di quelle pubbliche».

In particolare, le strutture private risultano essere molto attrattive per Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%), mentre ci sono realtà dove il pubblico è ancora forte e l’attrazione dei privati sta sotto il 20%, come in Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%).

A fronte di questi dati, Fondazione GIMBE ha già chiesto che la Sanità non possa rientrare per legge nelle autonomie regionali, perché se così fosse il solco già presente tra Nord e Sud del Paese si amplierebbe ulteriormente.