Monzino, eccellenza da esportare

Dr. Al JaberL’accordo siglato tra il Centro Cardiologico Monzino e la holding kuwaitiana Flex condurrà team di specialisti italiani a collaborare con altre strutture ospedaliere del Kuwait e degli altri Paesi dell’area del Golfo.
Abbiamo intervista a Emad Al Jaber, cardiochirurgo di origine giordana, consigliere di amministrazione di Flex Holding e futuro direttore dell’Unita Cardiovascolare dell’Ospedale Al Seef.

Ci spiega i termini e le prospettive dell’accordo con il Ccm?
«Il Centro Cardiologico Monzino ha firmato un accordo di partnership con la holding Flex Kssc che controlla una varietà di altre società tra le quali si conta anche quella Flex Medical Services che il sottoscritto è orgoglioso di dirigere. La nostra iniziativa congiunta nasce con grandi ambizioni e progetti mirati a un ingresso più massiccio nel settore medico-sanitario. Non a caso, è attualmente in fase avanzata il percorso verso l’inaugurazione del nuovo Flex Medical Center. Abbiamo ottenuto inoltre la gestione della parte cardiovascolare di una fra le strutture più prestigiose del Kuwait e stiamo cercando di mettere a punto altre convinzioni con poli sanitari pubblici e privati sul territorio. È solo l’inizio: l’intenzione è estendersi anche ad altre località del Golfo arabo».

Quanto ha pesato sulla scelta il carattere di umanità che lei ritrova nella sanità italiana?
«Dal mio punto di vista è un aspetto fondamentale. Essere medici è allo stesso tempo una missione di privilegio ma è anche un lavoro, del quale si vive. I medici sono professionisti dotati di precisi obblighi nei confronti delle loro famiglie e conducono una vita privata che può talora incidere sulla loro attività professionale. Dal punto di vista puramente economico non credo che la loro retribuzione renda conto dell’impegno quotidiano che profondono e che in Italia essa non sia allineata a quella dei restanti Stati europei e questo può generare, alla lunga, un sentimento di frustrazione. Né il sottoscritto né i suoi colleghi sono martiri, ma sicuramente meritano un riguardo sociale (e monetario) superiore all’attuale. Quello che ho tuttavia riscontrato nelle mie esperienze di ricerca e lavoro in Italia è invece il notevole e diffuso livello di umanità e concentrazione sul paziente, che resta l’obiettivo principale dei medici che vi focalizzano tutte le attenzioni, senza preoccuparsi e senza farsi influenzare da problemi esterni. In Italia i medici sono altamente professionali e probabilmente questa loro specificità deriva anche dalla cultura di un reciproco e disinteressato aiuto che caratterizza la civiltà locale. Dal punto di vista tecnico e per quanto riguarda la cardiochirurgia, l’Italia non ha nulla da invidiare a nessun altro Stato nel mondo e, al contrario, ha molto da insegnare. Si tratta di una specialità di assoluta avanguardia della quale gli italiani devono essere fieri. E parlo solo di cardiochirurgia perché è il mio ambiente lavorativo».

Quali caratteristiche fanno inoltre della holding Flex la partner più adatta per l’operazione?
«Come già parzialmente anticipato, Flex è una holding molto ben posizionata in una varietà di settori dell’economia del Kuwait nei quali ha un ruolo di assoluto primo piano. Sono però allo studio o sono già state avviate anche altre partnership con diverse società locali o internazionali e qualora dovessero presentarsi l’opportunità o l’occasione giusta per poter ampliare o migliorare le nostre attività, approfittando magari della collaborazione iniziata con il Centro Cardiologico Monzino, le valuteremo e andremo avanti. Flex è già una capofila in altri comparti e punta a esserlo anche in campo medico sanitario. Nel frattempo Flex Medical Center intende svilupparsi inizialmente in quattro aree: cardiologia, chirurgia plastica, fisioterapia e odontoiatria. Quel che mi sento di poter affermare sin d’ora è che tutti e quattro i segmenti citati avranno un’anima e un brand tricolori».

Quale contributo possono dare progetti come questo alla riduzione del turismo sanitario?
«In Kuwait il sistema sanitario nazionale garantisce l’assistenza gratuita a tutti i suoi iscritti ma, se non è in grado di soddisfare le loro richieste sul territorio, è costretto a mandare i cittadini all’estero, cosicché il cosiddetto turismo sanitario finisce per sopperire alle carenze nazionali. Si sta valutando l’ipotesi di dare vita a una rete di strutture private accreditate e questo potrebbe contribuire a ridurre le liste di attesa per l’accesso alle cure. Probabilmente il modello al quale ci si ispirerà sarà quello italiano: se realizzato in modo coerente potrebbe essere decisivo per contenere il fenomeno dei viaggi della speranza e le competenze oggi ricercate al di là dei nostri confini potranno finalmente essere disponibili in Patria e per un più ampio numero di contribuenti».

Roberto Carminati