Simona Serao Creazzola, presidente della SIFO, parla di approvvigionamento di farmaci e dispositivi, preparazioni galeniche, collaborazione con altri professionisti della salute.

«Durante l’emergenza sanitaria abbiamo affrontato una situazione del tutto straordinaria, rispondendo con un presidio professionale che ci ha visti impegnati 24 ore su 24 in tutti gli ambiti assistenziali. Per mesi siamo stati in prima linea per garantire la migliore assistenza farmaceutica negli ospedali e sui territori colpiti dalla pandemia».

A dirlo è Simona Serao Creazzola, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Farmaceutica Convenzionata e Territoriale dell’Asl Napoli 1 Centro e presidente della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera.
Sì, perché anche i farmacisti, al pari di medici e infermieri, si sono impegnati senza risparmiarsi per fronteggiare una pandemia aggressiva quanto inaspettata. Solo che i loro volti e il loro operato non sono finiti in tv e sulle prime pagine dei quotidiani. Eppure, senza il loro fondamentale contributo sarebbe stato impossibile fare arrivare al letto dei pazienti i farmaci e i dispositivi necessari per il trattamento di migliaia di malati.

Partiamo proprio dai farmaci e dai dispositivi, alcuni dei quali sono risultati carenti e difficili da reperire…

«Nella fase iniziale, le carenze e le indisponibilità hanno riguardato principalmente i farmaci e i dispositivi medici utilizzati nelle terapie intensive e nelle rianimazioni, che hanno vissuto i ben noti momenti di collasso per sovraffollamento. D’altra parte, la comunità scientifica e le istituzioni hanno collaborato in modo sinergico per contribuire a stabilizzare questa grave criticità, determinata principalmente dalla incrementata domanda a livello mondiale in un momento in cui si chiudevano i confini. Nella seconda fase del periodo pandemico, queste problematiche si sono decisamente ridotte. La capacità di fare rete tra professionisti e tra questi ultimi e le istituzioni, nelle informazioni come nei percorsi, è sicuramente stata dirimente, per cui i disagi collegati all’iniziale picco di consumi sono stati tempestivamente ridotti. Nel concreto oggi la rete Sifo sta continuando a raccogliere segnali “dal fronte”, ovvero dalle sedi operative dei farmacisti delle aziende sanitarie. Queste segnalazioni vengono messe a fattor comune e a immediata disposizione di tutta la comunità scientifica e istituzionale».

Come avete fatto a rilevare le carenze?

«Non si è trattato di una rilevazione quantitativa né sistematica, ma di una rilevazione qualitativa basata su interviste standardizzate che, a cadenza settimanale, venivano rivolte a colleghi operativi in una quindicina di strutture ospedaliere distribuite tra il Nord, il Centro e il Sud Italia, con una particolare concentrazione sul Nord gravemente colpito dalla pandemia. Già nelle prime fasi dell’emergenza abbiamo avviato sul nostro sito web la Rete nazionale Emergenza Covid-19 per consentire ai farmacisti ospedalieri e dei servizi farmaceutici territoriali di condividere documenti, buone prassi, segnalazioni, criticità. Proprio questo strumento ci ha consentito di raccogliere, valorizzare e mettere a sistema tutti i contributi pervenuti».

Per fare fronte alla situazione, avete pubblicato dei documenti per le preparazioni galeniche. Cosa riguardavano?

«In collaborazione con la Società italiana dei farmacisti preparatori (Sifap), e grazie al lavoro dell’area scientifica Galenica di Sifo, abbiamo stilato e messo a disposizione dei farmacisti le istruzioni operative per l’allestimento di preparati magistrali in forma liquida, principalmente a base di antiretrovirali, necessari per i pazienti in terapia intensiva non in grado di deglutire le compresse, che spesso erano l’unica forma farmaceutica disponibile sul mercato. Inoltre, sempre grazie all’area Galenica, sono state elaborate le istruzioni per l’allestimento di preparati a base di idrossiclorochina, di disinfettanti per le mani e di igienizzanti per le superfici. In aggiunta a ciò, grazie all’area scientifica Rischio chimico della nostra società, abbiamo redatto un documento tecnico rivolto ai farmacisti, nel quale vengono esplicitati i criteri per valutare la conformità dei dispositivi di protezione alla normativa. Abbiamo, insomma, attuato uno sforzo sinergico, mettendo in gioco le competenze e le peculiarità della nostra professione, sempre attenta alla qualità e alla gestione del rischio».

Tramite la Rete Emergenza Covid-19 avete anche potuto raccogliere e valorizzare alcune interessanti esperienze dei farmacisti che hanno operato in emergenza…

«Sì, abbiamo raccolto testimonianze provenienti da ogni parte d’Italia, dall’Abruzzo alla Lombardia, dal Veneto alla Sicilia. Tutti racconti in cui emergono l’impegno e la dedizione con i quali i farmacisti si sono messi a disposizione del Servizio sanitario nazionale nel periodo dell’emergenza».

Questo impegno, però, non sempre è stato riconosciuto dalle istituzioni. Alcuni decreti, nei quali si ipotizzava l’assunzione di specializzandi in vari ambiti sanitari per fare fronte alla pandemia, non hanno, infatti, menzionato i farmacisti ospedalieri. Perché? Quale è stata la vostra reazione?

«Noi farmacisti delle aziende sanitarie spesso operiamo nell’ombra, lontani dai riflettori. Per questo talvolta il nostro ruolo non viene adeguatamente percepito e valorizzato dalle istituzioni, anche se da sempre siamo attivi in tutti i processi che riguardano i farmaci e i dispositivi medici e anche nel caso della pandemia abbiamo assicurato un presidio di altissimo livello. Siamo, perciò, rimasti in un primo momento sorpresi e delusi di fronte ai decreti che prevedevano un ampliamento del personale in ambito sanitario, escludendo i farmacisti. Abbiamo allora fatto sentire la nostra voce, in sinergia con il Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del Servizio sanitario nazionale (Sinafo) e con la Federazione ordini farmacisti italiani (Fofi), affinché la figura del farmacista, inizialmente non contemplata in modo esplicito, fosse presa in considerazione dalla normativa e affinché le possibilità di assunzione estese agli specializzandi riguardassero anche la nostra categoria professionale. In alcune regioni ciò ha portato buoni frutti».

Nel periodo della pandemia vi siete confrontati con i vostri colleghi europei, allargando lo sguardo oltre i confini nazionali?

«Certamente. In particolare, Sifo ha collaborato con l’European association of hospital pharmacists (Eahp) per definire pratiche e modelli di farmacia ospedaliera con cui affrontare l’emergenza in una scala sovra-nazionale. Una collaborazione che si è rivelata utile e produttiva».

A proposito di collaborazione, nel periodo dell’emergenza siete riusciti a creare una sinergia con le varie figure professionali che, a vario titolo, operano in ambito sanitario?

«Sì, abbiamo collaborato proficuamente con tutti gli attori coinvolti, lavorando a fianco di clinici, infermieri, ingegneri clinici, provveditori. Con questi ultimi, in particolare, è proseguita una collaborazione che avevamo già avviato in precedenza con un importante progetto nazionale congiunto, mirato a valutare l’acquisto di farmaci e dispositivi alla luce del Codice degli appalti».

La collaborazione con i medici specialisti, in particolare, ha posto l’attenzione sulla farmacia clinica, una disciplina che è stata sperimentata in passato, ma che di fatto non è entrata a fare parte a pieno titolo della prassi quotidiana. Che sia l’occasione per una svolta?

«Senza dubbio la pandemia ha evidenziato l’importanza della farmacia clinica, nell’ambito della quale il farmacista ha operato in collaborazione con i clinici infettivologi e anestesisti per trovare soluzioni che potevano essere elaborate solo a partire dalla sintesi delle competenze di ciascuno, a beneficio del paziente e del servizio pubblico».

In varie occasioni lei ha sostenuto che, per affrontare al meglio l’emergenza pandemica, sarebbe stato necessario disporre di un’assistenza territoriale più efficace nella presa in carico del paziente…

«L’emergenza ha rilanciato con forza il ruolo cruciale dell’assistenza sanitaria territoriale come legame strategico tra cittadini, assistenza ospedaliera e istituzioni. Un ambito fondamentale, che per molti anni, soprattutto in alcune regioni, è stato trascurato e depauperato di risorse. Adesso che i risultati di questa politica miope sono finalmente sotto gli occhi di tutti, auspico una riorganizzazione e una valorizzazione della rete territoriale con indispensabili significativi investimenti».

Da cosa è stata caratterizzata la fase 2 della pandemia?

«Nella seconda fase del periodo pandemico, la domanda di farmaci e dispositivi si è fortunatamente ridotta, grazie al miglioramento della curva epidemica. La situazione è apparsa più stabile e in costante miglioramento, dal punto di vista sanitario e organizzativo. Inoltre, e questo è l’aspetto più importante, le organizzazioni e le risorse messe in campo fanno sperare in una maggiore capacità di fronteggiare eventuali sfide future poste da questa pandemia».

L’imperversare dei contagi vi ha anche costretti a posticipare le elezioni nazionali per il rinnovo del Consiglio direttivo della vostra società scientifica…

«Sì, le disposizioni normative conseguenti all’emergenza epidemiologica ci hanno costretti ad annullare l’Assemblea elettorale in programma per marzo. In questo caso, Sifo ha semplicemente applicato la legge e agito con buon senso. Dato che oggi le norme per il distanziamento sociale sono meno restrittive, è stato possibile programmare per luglio il rinnovo delle cariche statutarie. Dopo tre mesi in cui il Covid ha imperversato, stravolgendo le nostre vite professionali e non solo, le elezioni possono rappresentare un momento proficuo per lavorare anche su altre tematiche, rafforzati da questo difficile periodo che, se da una parte ci ha tenuti fisicamente lontani, dall’altra ha aumentato la coesione e il lavoro in team dei professionisti della salute».

Paola Arosio