Il mercato dei dispositivi medici è cresciuto enormemente negli ultimi anni. Si tratta di dispositivi utilizzati anche in tutte le chirurgie, parti di ricambio del corpo umano, talvolta salvavita. La sentenza della Consulta sul payback sui dispositivi medici rischia però di mandare sul lastrico oltre duemila aziende. Di qui l’appello di PMI Sanità lanciato in occasione della conferenza stampa tenutasi a Roma il 25 luglio.
Salvare il sistema sanitario e i circa 200 mila posti di lavoro dopo la sentenza della Consulta sul payback dispositivi medici, che rischia di mandare sul lastrico oltre duemila aziende.
È stato questo il tema, e l’appello, lanciato in occasione della conferenza stampa organizzata da PMI Sanità – associazione nazionale delle piccole e medie imprese che riforniscono gli ospedali di materiali necessari a diagnosi e cure – ospitata a Roma, presso l’Hotel Nazionale lo scorso 25 luglio, che ha visto la partecipazione del dott. Francesco Conti, dell’avv. Giampaolo Austa e del dott. Gennaro Broya de Lucia, rispettivamente responsabile Relazioni Istituzionali, Legal Team e presidente di PMI Sanità.
Il payback sui DM: dove nasce
Si tratta di “una norma sbagliata e inutilmente dannosa”, ha sottolineato il presidente Broya de Lucia, riferendosi al payback DM, che rischia di impattare gravemente sulle imprese, sui lavoratori e sull’esercizio del diritto alla salute di tutti i cittadini.
Per poter comprendere la norma e la ratio del payback sui dispositivi medici, occorre fare un passo indietro e ricostruire lo scenario. La norma è del 2015 e segue una precedente norma del 2011 che istituiva i tetti di spesa su base regionale per l’acquisto di DM.
Inizialmente era previsto che dovesse essere la Regione a restituire i soldi in caso di sforamento. Successivamente è stato inserito un sistema di compartecipazione delle imprese allo sforamento.
“All’atto pratico, lo Stato sposta ex lege una parte dei costi per le cure indispensabili degli italiani sulle aziende private del settore che sono chiamate a sanare lo sforamento del tetto fissato sulla spesa regionale, con una mega tassa pari al 50% dell’intero importo dichiarato dalle regioni, una cifra enorme, pari a 5 miliardi di euro del quale i fornitori non avevano contezza preventiva né controllo alcuno.
Si tratta, di fatto, di una imposizione insostenibile – hanno sottolineato i rappresentanti di PMI Sanità – applicata su forniture effettuate dal 2015 al 2018”. Una decisione questa che espone a rischio molte imprese, soprattutto quelle più piccole, non in grado di sostenere questo extra costo.
La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.140/2024 ha infatti respinto le questioni di legittimità promosse dal TAR Lazio, al quale erano stati rivolti circa 2.000 ricorsi, ritenendo, in sintesi, che il payback: debba essere considerato come un «contributo di solidarierà» necessario a sostenere il SSN; è proporzionato vista la riduzione al 48% disposta dal Governo per il periodo 2015-2018; era prevedibile visto che la legge è del 2015 nonostante i decreti con la determinazione del quantum siano stati pubblicati nel 2022.
Sempre la Corte Costituzionale, con la sentenza n.139/2024, ha stabilito che la riduzione al 48% per il payback 2015-2018 debba essere applicata a tutti gli operatori soggetti a tale misura e non solo a quelli che hanno rinunciato al ricorso.
“Con queste sentenze i rischi che fino a pochi giorni fa erano possibili, sono diventati imminenti, aprendo la strada ad uno scenario drammatico” ha sottolineato il Presidente di PMI sanità.
Le evidenze dello studio Nomisma
A supporto del proprio appello, PMI Sanità ha portato le evidenze emerse dallo studio realizzato da Nomisma “Analisi dei meccanismi di ripartizione del payback per le imprese della filiera dei dispositivi medici” (settembre 2023) dal quale emerge che il payback interessa oltre seimila imprese, in larga parte piccole e medie imprese: il 44% ha meno di 10 addetti e il 70% meno di 50.
Dal 2015 al 2023, 1 impresa su 8 è fallita o è in grave crisi di solvenza tale per cui non potrà saldare; 2 imprese su 5 si troverebbero in difficoltà economico-finanziaria se dovessero pagare il payback. Le imprese con almeno un fattore di criticità economico-finanziaria dopo l’applicazione del payback sono, in 3 casi su 4, con meno di 50 addetti.
Lo studio evidenzia dunque che il payback va a colpire maggiormente le imprese meno strutturate, condizionandone la sopravvivenza stessa.
Il payback non fa bene a nessuno, neppure allo Stato
Esistono in tal senso due considerazioni da fare, ha sottolineato l’avvocato Agosta. Da una parte la normativa euro-unitaria prevede che nessun fornitore può eseguire un appalto se in perdita. Chiaramente le aziende di DM, con l’applicazione del payback, si troverebbero in perdita.
Anche guardando ai benefici che lo Stato potrebbe avere dal payback, questi sono solo ipotetici. Difatti, come conferma lo studio Nomisma, da una parte incontrerebbe grandi difficoltà nel recuperare le somme dovute, nel breve periodo; nel lungo periodo poi, la scomparsa dal mercato di molte piccole e medie imprese determinerebbe minore concorrenza e, conseguentemente, un abbassamento della qualità dei dispositivi e un innalzamento generalizzato dei prezzi.
Le richieste di PMI Sanità
In conclusione il payback è «a conti fatti» uno strumento inefficace per contenere i costi vista la dinamica di aumento dei prezzi che ne deriverebbe almeno per il futuro. La richiesta di PMI Sanità sarebbe quella di abolire questa norma per il futuro salvaguardando il tessuto di piccole e medie imprese che rappresentano la maggioranza dei fornitori del settore.
Tuttavia, in assenza di questa possibilità, una soluzione intermedia è rappresentata dalla franchigia, che consentirebbe a molte imprese di evitare il fallimento, specie se micro, medie e piccole, eviterebbe la crisi delle forniture direttamente connessa alla crisi finanziaria dei fornitori di dispositivi medici e garantirebbe il mantenimento della concorrenza nel settore.
Alla luce di quanto sopra, PMI Sanità ha richiesto un immediato tavolo di crisi con il Governo e con la Conferenza Stato-Regioni che comprenda le conseguenze sulle piccole e le medie imprese italiane e si adoperi per una soluzione definitiva che tuteli questo strategico comparto.