I progressi compiuti negli ultimi anni dalla ricerca e dalla medicina hanno portato, nel tempo, a un progressivo aumento dell’aspettativa di vita dei pazienti oncologici.
Per non essere vanificato, questo importante traguardo necessita, però, di un’organizzazione assistenziale che sia in grado di seguire il paziente in tutte le fasi della malattia anche attraverso una crescente integrazione tra ospedale e territorio.
Su questa consapevolezza si è fondata la seconda edizione del CIPOMO Day, che in novembre ha messo a confronto specialisti e medici di medicina generale.
Alla luce dei progressi della medicina e della ricerca, con la progressiva cronicizzazione delle malattie neoplastiche, occorre fornire nuove risposte ai pazienti modulandole sulle loro esigenze, garantendo loro continuità assistenziale attraverso una maggiore e migliore integrazione tra ospedale e territorio durante tutto il percorso di cura.
È questa una delle nuove sfide dell’oncologia, che richiede una riorganizzazione assistenziale basata su una forte sinergia tra oncologi ospedalieri e medici di medicina generale.
A partire dalla necessità di fornire risposte a questi bisogni, è nata la seconda edizione del CIPOMO Day dal titolo “Il tempo della transizione”, una giornata promossa dal Collegio Italiano Primari Oncologi e Medici Ospedalieri in collaborazione con FNOMCeO.
L’obiettivo era mettere allo stesso tavolo medici di medicina generale e specialisti con l’obiettivo di far emergere le esigenze della medicina territoriale e individuare le migliori modalità d’integrazione con gli specialisti ospedalieri e delineare percorsi di presa in carico dei pazienti che siano in grado di accompagnarli nel percorso di cura.
L’integrazione ospedale-territorio è necessaria
In Italia ci sono oltre 3,6 milioni di pazienti oncologici e ogni giorno oltre 1.000 persone ricevono una diagnosi di tumore maligno.
«Una categoria di pazienti estremamente eterogenea», ha spiegato Luigi Cavanna, presidente CIPOMO, «che annovera persone già guarite o che stanno intraprendendo un percorso verso la guarigione e quindi sottoposte a terapie neoadiuvanti o adiuvanti.
Pazienti in follow-up e pazienti con tumore metastatizzato, la cui guarigione diventa molto più difficile da raggiungere.
Tutte persone con bisogni estremamente diversi che hanno come unico punto di riferimento le oncologie delle strutture ospedaliere».
Governare la transizione
Questo non è più sufficiente. «Dobbiamo capire come governare questo necessario percorso di transizione territoriale e come gestire il passaggio di consegne ospedale-territorio in modo coordinato e con una collaborazione continuativa tra specialista, medico di medicina generale e oncologo sul territorio».
I numeri del cancro confermano la necessità di questa sinergia.
In Italia la mortalità per tumore nel 2021 risultava in riduzione, con una stima di 181.330 decessi (100.200 uomini e 81.100 donne), in calo rispetto all’anno precedente in cui ne sono stati registrati 183.200.
Il tasso di mortalità con riferimento a tutte le malattie oncologiche è più basso rispetto alla media UE: solo negli ultimi 6 anni è diminuito del 9,7% negli uomini e dell’8% nelle donne.
Più in particolare, dati incoraggianti si sono registrati per il tumore dello stomaco, con un calo del 18,4% negli uomini e del 25% nelle donne, mentre per il tumore del colon-retto la flessione è stata, rispettivamente, del 13,6% e del 13,2%.
Per il tumore del polmone si assiste a una riduzione del tasso di mortalità del 15,6% negli uomini mentre, mentre nelle donne si ha un aumento del 5%.
«I numeri evidenziano come l’impegno degli oncologi italiani nella clinica e nella ricerca stia dando notevoli risultati e confermano la necessità di una unità di intenti con una collaborazione più estesa e stringente con colleghi di altre discipline e segnatamente con i colleghi di medicina generale», ha concluso Cavanna.
«Collaborazione è la parola chiave», ha confermato Filippo Anelli, presidente della FNOMCeO, «che si declina nella sinergia tra professionisti, nell’integrazione tra ospedale e territorio, nella continuità delle cure, per una presa in carico a tutto tondo della persona. È giusto e positivo anche per la riuscita della terapia che il paziente trovi tutte le migliori competenze e prestazioni professionali laddove gli servono, sul territorio, e quando gli occorrono, senza tempi di attesa».
Elena D’Alessandri