Una web conference sullo sviluppo delle reti cliniche chirurgiche organizzata da Horma – Health and Operating Room Management Association ha fatto emergere una serie di elementi interessanti su come ottenere outcome chirurgici di qualità.

Punto di partenza della discussione è stato l’evidenza che gli outcome chirurgici sono strettamente connessi al volume degli interventi eseguiti in una struttura ospedaliera e, per un buon numero di procedure, anche al volume d’interventi del singolo chirurgo.

La dottoressa Marina Davoli, direttore del Dipartimento di Epidemiologia del SSR laziale e responsabile tecnico-scientifico del Programma Nazionale di Valutazione Esiti, ha evidenziato la stretta correlazione tra esito di un intervento e setting in cui questo viene eseguito, indipendentemente dal chirurgo. In altre parole, se un chirurgo ad alti volumi opera in più di un ospedale non è detto che ottenga gli stessi esiti in tutte le strutture e questo perché all’outcome di un intervento complesso concorre sì l’esperienza del chirurgo ma anche l’équipe di supporto, la tecnologia a disposizione, la cooperazione con altre parti extra-operatore dell’ospedale (per esempio, Terapia Intensiva, radiologi interventisti).

Eppure, in Italia esistono varie specialità chirurgiche che vedono il chirurgo lavorare su più fronti, in più realtà ospedaliere.
Come garantire la qualità degli outcome? Una risposta interessante è giunta dalla dottoressa Daniela Donetti, direttrice generale dell’Asl di Viterbo, dove dal 2016 è stata introdotta l’idea del “chirurgo itinerante”.

L’Asl di Viterbo presenta un ospedale hub corredato da tre ospedali periferici. Si è pensato di organizzare la rete chirurgica interaziendale tenendo saldi tre principi:

  • sicurezza delle cure – conoscenza dei parametri che rendono un intervento chirurgico sicuro e che devono essere garantiti
  • complessità – che significa allocare ogni tipologia di intervento nel setting organizzativo, tecnologico, d’équipe più adeguato
  • prossimità – laddove possibile, scegliere per l’intervento l’ospedale più vicino alla residenza del paziente.

Seguendo questi caposaldi, l’Asl di Viterbo ha organizzato un sistema tale per cui i casi più complessi vengono eseguiti nell’ospedale hub, mentre quelli meno complessi avvengono in uno degli ospedali periferici, scegliendo in base alle specialità interne e alle caratteristiche.

Inoltre, non è solo il chirurgo a essere itinerante, ma l’intera équipe, il che aumenta la qualità dell’intervento. Accanto a questa struttura a rete, anche le liste d’attesa chirurgiche sono state fuse in un’unica lista. Quello portato dalla dottoressa Donetti è un esempio: durante l’evento sono stati spiegate altre strutture a rete.

Certo, è emersa la complessità di costruire una rete clinica chirurgica, obiettivo che non può essere condotto in soli tre anni di mandato ma che richiede un processo lento che coinvolga tutti gli attori in gioco.

È importante far sapere che tali scelte hanno sempre l’obiettivo di migliorare la qualità delle cure: una rete clinica chirurgica, per esempio, può aumentare il volume degli interventi dei chirurghi.

Un altro aspetto essenziale è l’informatizzazione, un tassello ancora poco sviluppato in Italia e che rende difficile l’evoluzione del sistema.
È importante che i dati sanitari di un paziente si muovano con lui, in qualunque struttura egli vada.

Purtroppo, invece, spesso i sistemi informatici di due aziende non parlano tra loro e i dati non possono quindi essere noti a tutti i professionisti sanitari che hanno il paziente in cura. Ciò incide anche sullo sviluppo di reti cliniche vaste.

Stefania Somaré