Rivascolarizzazione coronarica ibrida al centro di una revisione

Le patologie coronariche richiedono interventi di rivascolarizzazione che permettono di ridurre l’incidenza di infarto. Due sono le pratiche più utilizzate: l’intervento coronarico percutaneo (PCI) e l’innesto di bypass di arteria coronaria (CABG).
Tuttavia, sembra non ci sia ancora accordo su quale sia l’approccio migliore da utilizzare in pazienti con più coronarie ostruite. Una recente review cinese cerca di capire quale sia la sicurezza e l’efficacia a lungo termine di un terzo metodo di intervento, la rivascolarizzazione coronarica ibrida (HCR).
Questo metodo è meno invasivo della PCI, con meno sanguinamento e rischio di infezione e sembra sia in grado di ridurre il tasso di rivascolarizzazione nel tempo, favorendo risultati a lungo termine. La HCR, inoltre, richiede meno tempo di ventilazione meccanica per i pazienti e tempi di ricovero più corti.

Tuttavia, non è chiaro se, in presenza di coronaropatia che interessa più vasi sanguigni, questo metodo sia migliore anche del CABG. 18 gli studi individuati in letteratura e inclusi nell’analisi qualitativa, eseguita per mettere a confronto i due metodi. Come primo outcome, gli autori hanno valutato differenze nel tasso postoperatorio di infarto del miocardio, stroke, mortalità e rivascolarizzazioni ripetute. Nessuna differenza significativa è stata evidenziata dalla revisione nei primi 30 giorni postintervento. Man mano che il tempo trascorre, invece, qualche piccola diversità viene a galla.
A un anno dall’intervento il 11.3% dei pazienti trattati con HCR ha avuto esperienza di almeno uno degli outcome analizzati, contro l’8.9% dei pazienti trattati con CABG. Simile le percentuali anche nel periodo successivo, tra l’anno e i 5 anni dall’intervento. Se si considerano però i tempi lunghi, sopra i 5 anni, la situazione si ribalta e si osserva una differenza di percentuali del 28.6% per l’HRC e del 30.2% per il CABG. Certo, la differenza percentuale è sempre minima, intorno al 2%.

Tutto ciò porta gli autori a definire l’intervento HCR come sicuro ed efficace anche nel lungo periodo. Lo studio è open e riporta nel dettaglio le differenze tra i vari outcome di interesse in base al tempo trascorso dall’intervento.
In particolare, sembra che sia la necessità di ripetere la rivascolarizzazione a essere particolarmente elevato nel breve e medio periodo per i pazienti trattati con HCR, mentre la tecnica è molto forte nel ridurre il tasso di infarto del miocardio e di morte. Secondo gli autori, ciò la rende almeno equivalente alla tecnica CABG, soprattutto considerando il basso impatto che il metodo HCR ha sul paziente.

Esistono comunque anche limitazione di carattere organizzativo che devono essere ancora superate per consentire alla tecnica di diffondersi ulteriormente all’interno dell’attività clinica. Se ogni anno, in Italia, vengono trattati per patologia coronarica acuta quasi 100.000 soggetti, bisogna considerare che quelli con sindrome coronarica cronica sono di più… e tutti sono a rischio di riacutizzazioni.

(Lo studio: Yu, L., Zhu, K., Du, N. et al. Comparison of hybrid coronary revascularization versus coronary artery bypass grafting in patients with multivessel coronary artery disease: a meta-analysis. J Cardiothorac Surg 17, 147 (2022). https://doi.org/10.1186/s13019-022-01903-w)

Stefania Somaré