RM nell’imaging cardiovascolare

Grazie alla sua capacità di evidenziare alcune caratteristiche del tessuto cardiaco che mancano alla TAC e all’ecocardiografia, la risonanza magnetica viene sempre più spesso utilizzata per effettuare diagnosi di cardiomiopatia.

Uno studio coordinato dal Centro Cardiologico Monzino di Milano (Baskaran L, Maliakal G, Al’Aref SJ, Singh G, Xu Z, Michalak K, Dolan K, Gianni U, van Rosendael A, van den Hoogen I, Han D, Stuijfzand W, Pandey M, Lee BC, Lin F, Pontone G, Knaapen P, Marques H, Bax J, Berman D, Chang HJ, Shaw LJ, Min JK. Identification and Quantification of Cardiovascular Structures From CCTA: An End-to-End, Rapid, Pixel-Wise, Deep-Learning Method. JACC Cardiovasc Imaging 2019 Oct 11. pii: S1936-878X(19)30873-3. doi: 10.1016/j.jcmg.2019.08.025) dimostra che questo strumento diagnostico è in grado di identificare con precisione la malattia o le anomalie all’origine di un’aritmia ventricolare maligna, una delle prime cause di morte improvvisa, soprattutto nei giovani.

Alla base dello studio la considerazione che in alcuni casi l’ecocardiografia non rileva alterazioni nella funzionalità e nella struttura cardiaca, anche quando vi siano aritmie accertate.

Daniele Andreini

Lo studio è stato coordinato da Daniele Andreini, responsabile U.O. Radiologia e TAC Cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino e professore Associato dell’Università degli Studi di Milano, e ha preso in considerazione 946 soggetti (tutti afferenti all’Irccs Monzino) con gravi aritmie sottoposti a ecocardiografia transtoracica con esisti patologici negativi, valutando il responso della risonanza magnetica.

«La risonanza magnetica ha identificato una cardiopatia strutturale nel 25,5% dei casi e in un altro 19,7% ha identificato anomalie in termini di volume cardiaco, funzione e cinetica della parete.
La miocardite è risultata la patologia più frequente, seguita dalla cardiomiopatia aritmogena e da altre forme di cardiomiopatia.
Essere in grado di rilevare queste cardiopatie», dichiara il professor Andreini, «permette di valutare correttamente il rischio e la prognosi del paziente e dunque di selezionare chi ha indicazione per l’impianto di un defibrillatore automatico».

La risonanza magnetica è dunque un’alleata preziosa, che deve essere però utilizzata con appropriatezza.

«Lo studio», conclude Andreini, «ha confermato che la RM dà un risultato patologico soprattutto quando l’aritmia si presenta frequente o complessa».

La prescrizione, pertanto, non deve essere a tappeto né deve avvenire in modo indistinto per tutti i pazienti aritmici: all’esame vanno indirizzati in modo mirato coloro che presentano aritmie più gravi.

Stefania Somaré