Se in Italia l’uso della telemedicina si sta diffondendo in questi ultimi anni, con esperienze di vario genere nelle diverse Regioni, negli Stati Uniti questo strumento vanta una storia molto più lunga, anche se in taluni casi disomogenea tra uno Stato e l’altro.
Uno degli ambiti in cui viene maggiormente utilizzata la telemedicina negli Usa è quello delle Terapie Intensive, che hanno così sviluppato nel tempo un sistema di telemedicina ben integrato e strutturato che connette tutto il Paese.
Con questo strumento si cerca di rispondere al numero sempre crescente di pazienti critici, alla diminuzione di professionisti di terapia intensiva e alle richieste che si verificano fuori orario.
Oltre ai vantaggi immediati della telemedicina, la presenza di un Network così ben strutturato consente anche di creare un database che può avere finalità interessanti.
Un gruppo di ricercatori di Tucson (Arizona) ha studiato proprio quali opportunità porterebbe la creazione di un database così esteso (studio “The Connected Intensive Care Unit Patient: Exploratory Analyses and Cohort Discovery From a Critical Care Telemedicine Database”).
Per farlo, ha utilizzato un database pubblico già esistente, il Collaborative Research Database, nel quale convergono informazioni relative a pazienti adulti ammessi nelle Terapie Intensive tra il 2014 e il 2015. Tutte le informazioni contenute nel database, provenienti da 200 Terapie Intensive, per un totale di circa 139.000 pazienti, sono anonime.
Da questo database i ricercatori hanno estratto e analizzato le principali ragioni di ricovero, le caratteristiche dei pazienti che sono entrati in Terapia Intensiva, l’uso di score clinici per fare previsioni sui risultati clinici: l’obiettivo era dimostrare che i database offrono occasione di fare ricerca su prevenzione, migliori scelte terapeutiche, stratificazione della popolazione, ma anche aspetti critici nelle Terapie Intensive cui mostrare maggiore attenzione, e copertura degli intensivisti.
Stefania Somaré