La pandemia ha messo al centro dell’attenzione generale del Paese, in modo prepotente, i servizi di assistenza territoriali, ritenuti determinanti nella gestione dell’emergenza Covid, accanto alle strutture ospedaliere riservate ai casi più gravi; in questo scenario le aziende sanitarie sono state chiamate a dare risposte concrete, flessibili ed efficaci in tempi rapidi.
Lo sviluppo di un’adeguata assistenza territoriale è tuttavia un tema antico, che negli anni non è stato preso in debita considerazione, come pure sarebbe stato giusto fare.
È stato questo il tema portante della seconda sessione del Forum sul Risk Management organizzato da Fiaso, cui hanno preso parte numerosi relatori di spicco.

Con la pandemia sono così emerse, con forza, le principali inadeguatezze dei modelli organizzativi adottati finora; il che ha fatto sì che il domicilio del paziente assurgesse a luogo centrale per l’assistenza. Il SSN ha dovuto quindi adeguarsi repentinamente alle nuove esigenze per rispondere ai mutati bisogni assistenziali. È emerso come cruciale il ruolo della governance che, unitamente a ingenti risorse, dovrebbe aiutarci a innovare e migliorare la qualità dell’assistenza», ha esordito Piero Borgia, consulente Fiaso. Il Covid ha insegnato l’importanza della flessibilità di percorsi e processi e quindi della centralità del management; l’importanza del livello territoriale – intesa come dipartimenti di prevenzione, di cure primarie, caregiver, USCA, medici di medicina generale, come squadra unica – dell’integrazione tra ospedale e territorio – grazie anche all’innovazione tecnologica della telemedicina e del teleconsulto – e delle RSA, cui sono stati dedicate specifiche valutazioni del rischio e piani mirati.

«Occorre avere chiarezza delle competenze e dei reciproci limiti», ha ribadito Borgia. Durante la pandemia è emersa con forza la necessità che i diversi processi e percorsi siano il più possibile flessibili e adattabili alle realtà contingenti, e ciò anche a livello manageriale; è altresì emersa l’importanza circa la centralità del domicilio del paziente e dei modelli organizzativi non più a silos.
Per quanto l’assistenza territoriale sembri essere la soluzione di tutti i mali, Francesco Longo, professore associato della SDA Bocconi, ha insistito su alcuni aspetti imprescindibili per avere una organizzazione territoriale efficiente: il target, la metrica e il management a livello territoriale.
«Vanno quindi organizzate le interdipendenze tra centri differenti, serve un tutor medico, un PEM – Patient Experience Manager – e uno specialista quando occorre. Nella definizione dei ruoli non è la patologia che guida ma lo stadio della patologia di ogni singolo paziente e il livello di specializzazione dei singoli professionisti a livello territoriale».

Il Dimensionamento, punto cruciale per la presa in carico

Il secondo tema affrontato è stato quello di capire se il sistema sanitario attuale sia capace di far fronte alla pressante e diffusa richiesta di assistenza proveniente dalla platea dei pazienti, e cioè il suo dimensionamento rispetto alla crisi in atto. In tal senso, Longo ha presentato una ricerca realizzata su un distretto di medie dimensioni dell’Emilia-Romagna che conta circa 60mila abitanti. A fronte di una stratificazione per patologia, è emerso che nell’area considerata ci sono: 11.400 pazienti mono-patologici; 9.400 pluripatologici; 2.700 long term care e 500 pazienti fine vita. In questa situazione sono stati valutati il numero, con i relativi tempi di visite, necessari ad una presa in carico universalistica di tutti i pazienti cronici. Al contempo, è stato altresì valutato il numero di operatori sanitari necessari al fabbisogno, in rapporto a quelli realmente disponibili (in una Regione come l’Emilia-Romagna che ha investito molto sull’assistenza di prossimità).

È stato stimato quindi che dal medico di medicina generale si recano i mono-patologici una volta ogni due mesi mentre i pluripatologici vi si recano una volta al mese. Dal canto suo, il medico dovrebbe recarsi da una persona non autosufficiente due volte al mese e dovrebbe assicurare almeno una visita settimanale a un paziente fine vita. Altresì, è stato assegnato un tempo medio di 15’ per le visite ambulatoriali e 1 ora per i pazienti visitati domiciliarmente, tenuto conto anche dei tempi di trasporto.

Alla luce di questo, è emerso un fabbisogno di 93 medici di medicina generale a fronte di una disponibilità di soli 40; conseguentemente, v’è una carenza di medici di oltre il 50% per garantire una visita ogni 2 mesi (della durata di 15 minuti) ai pazienti mono-patologici. Situazione più o meno analoga, se non peggiore, per quanto concerne gli infermieri: 39 disponibili a fronte di una necessità di 119. Di contro, la presenza specialisti viene ritenuta adeguata alle necessità. Per comprendere come muoversi in una situazione del genere occorre fare una scelta: ridurre la frequenza delle visite o ridurre il numero dei pazienti visitati.

«Questo caso rappresenta solo un esempio», ha ribadito Longo, «che mostra l’assenza di una visione complessiva, di una conoscenza epidemiologica e delle forze in campo disponibili».
Inoltre, c’è bisogno di una piattaforma condivisa di knowledge sharing, con linee guida per i diversi attori in campo.
La tavola rotonda che ha seguito, in cui è stata portato l’esperienza delle diverse realtà territoriali italiane, ha evidenziato alcuni punti comuni: la necessità di ripensare l’assistenza agli anziani secondo modelli diversi dalle residenze sanitarie assistite che possono – come è in effetti accaduto – trasformarsi in veri e propri lager; potenziare l’assistenza domiciliare dei pazienti fragili e dei pazienti cronici; adottare soluzioni differenti sulla base delle effettive necessità e organizzazioni territoriali. La senatrice Anna Maria Parente, presidente della Commissione Permanente Igiene e Sanità, ha rimarcato come la pandemia da Covid-19 abbia messo in luce problemi irrisolti del nostro SSN, sottolineando la necessità di rinforzare l’assistenza sul territorio.

«Occorre tuttavia puntare in primis sulla prevenzione, sull’adozione di stili di vita corretti importanti anche in questa fase per evitare le difficili complicanze del Covid. La Salute dopo la pandemia deve essere messa al centro, come la difesa, perché sarà cruciale per il Paese e strettamente connessa alla ripresa economica. Spero il Governo si ravveda sul Mes perché servono risorse – e giovani specializzandi – per un cambio di passo della sanità del futuro».

Elena D’Alessandri