Transizione digitale tra gestione del dato e competenze del personale

I rischi per la salute dell’uomo e del pianeta possono essere affrontati in modo sistemico e trasversale sfruttando la capacità di raccogliere, archiviare ed elaborare dati con l’auspicio che diventino intelligenza collettiva a supporto delle decisioni.
Perché si possa abilitare un nuovo sistema di salute pubblica, connessa e predittiva le competenze risultano un tassello cruciale.

Come sostenere un percorso di formazione che possa produrre competenze e conoscenze per il miglior uso dell’innovazione tecnologica in un Paese in cui oltre la metà del personale sanitario ha più di 55 anni? Sono stati questi i temi al centro delle due sessioni del 27 ottobre del Forum PA Digitale in Sanità ospitato a Roma presso il Talent Garden.

Uno dei principali problemi della sanità di oggi nel processo di transizione digitale è rappresentato dalla necessità di usare in modo sempre più efficace il dato, che va raccolto e sfruttato al meglio per costruire modelli predittivi.

Verso un comune linguaggio

«Il vero problema è mettersi insieme sulla filiera del dato» ha sostenuto Antonio Barone, dirigente responsabile DIH Aria Spa.
«Anzitutto i dati devono essere messi a frutto a livello regionale per poi essere condivisi con altre realtà. Anche perché i dati disponibili non sono relativi al solo ambito sanitario, ma sono anche di altra natura».

Maria Cammarota, direttore Assinter Italia ha parlato di un progetto di collaborazione tra società che prevede la messa a fattor comune di competenze di dominio, infrastrutture e servizi per arrivare all’interoperabilità di dati standardizzati e codifiche di linguaggi.
«Solo se sarà possibile parlare lo stesso linguaggio a livello di sistema paese sarà possibile centrare il risultato».
Un risultato che può essere raggiunto solo attraverso una efficace governance di sistema.

Ancora scarsa condivisione dei dati

«A livello di condivisione dei dati l’Italia è ancora molto indietro e si attesta al 27% e i software utilizzati sono molto diversi», ha sostenuto Alessandro Campana di AssoHealth.
Un esempio premiante viene dall’esperienza della ASL Roma 6, in cui è stato avviato un progetto di raccolta di informazioni cliniche e sanitarie, con un monitoraggio costante dei processi, scambio, accessibilità.
Un altro esempio interessante è quello dell’Humanitas che ha promosso un progetto di Intelligenza Artificiale in ambito oncologico.

La sfida di oggi è quella di creare un ecosistema one health in cui i vari ambiti possano dialogare tra loro. L’unico modo è quello di creare un ecosistema il più trasparente possibile dando valore ai dati non solo per la cura ma soprattutto per la gestione dei processi.

Maria Pia Randazzo, dirigente statistico di Agenas, ha ricordato come il Covid-19 abbia inequivocabilmente mostrato i principali punti di debolezza del nostro sistema sanitario: prevenzione e medicina territoriale.
Oggi, anche con il DM 77, si sta andando nella direzione di un potenziamento della medicina territoriale coadiuvata da percorsi di telemedicina, la cui gestione è stata affidata ad Agenas.

«Oggi bisogna approcciare il sistema salute in modo preventivo e in ottica one health. Questo nuovo ecosistema in progress, però, non può prescindere dalla disponibilità di dati e di flussi di informazioni adeguati che vadano a implementare le conoscenze e quindi le decisioni».

L’efficientamento delle competenze digitali

Il nostro sistema sanitario dispone di circa 700 mila figure sanitarie, di cui oltre la metà è rappresentata da medici e infermieri. Secondo il Rapporto Annuale Istat 2020, tra i medici più del 60,4% ha oltre 55 anni, mentre 4 su 10 superano i 60 anni. Solo il 36% delle donne ha oltre 55 anni e circa la metà un’età compresa tra 40 e 55 anni. L’età media degli infermieri si attesta a 48,2 anni.

In tutti i casi emerge comunque come non si tratti di nativi digitali, ma di figure che necessitano di una adeguata formazione per rispondere alle sfide sanitarie di oggi e di domani.
Da una parte esiste un problema di digital skills, ovvero di competenze e conoscenza degli strumenti.

L’Osservatorio sulle Competenze Digitali del Politecnico di Milano a questo riguardo ha mostrato che 6 medici su 10 dispongono di queste competenze. Dall’altra, però, c’è la capacità di assumere decisioni sulla base delle informazioni digitali disponibili, una competenza che, stando alla medesima fonte, sembra essere appannaggio di soli 4 medici su 100.

Tuttavia, la rapida e irrinunciabile diffusione della Sanità Digitale e il miglior uso dell’innovazione tecnologica nei processi sanitari deve essere sostenuta dalla formazione degli operatori e degli utenti, che significa trasmissione di conoscenza e competenze, insieme a differenti modi di pensare.
Tale urgenza emerge chiaramente anche dal PNRR, che difatti destina alla formazione ingenti risorse per attività di reskilling e upskilling del personale pubblico focalizzate su competenze per la trasformazione digitale, manageriali, organizzative e trasversali.

Quanto al lato utente, interessanti le esperienze messe in campo sia da Regione Emilia-Romagna con il “laboratorio per il cittadino competente” sia dall’Istituto Mario Negri con “Partecipa salute”, due esempi di corsi di base di alfabetizzazione sanitaria di base messe in campo per coinvolgere il cittadino.

Il bisogno di una nuova formazione universitaria

Per quanto attiene invece alla formazione dei professionisti, oltre a potenziare quella di quanti già all’interno del SSN, va effettivamente lanciata una formazione innovativa e al passo con i tempi per i professionisti della sanità che verranno. A tale proposito, occorre segnalare il corso di laurea in Med-tech, frutto della partnership tra Politecnico di Milano e Humanitas University.

«Si tratta di un corso di laurea che deve fornire competenze di carattere medico e ingegneristico e di ingegneria biomedica di primo livello, avviato 4 anni fa – con 50 posti l’anno per studenti provenienti dall’UE e 10 posti per ragazzi di Paesi Extra-UE – con la consapevolezza di avere bisogno di nuove figure professionali per rispondere alle sfide sanitarie di oggi, con un progressivo invecchiamento della popolazione e un crescente numero di pazienti cronici», ha sostenuto Maria Laura Cosentino, presidente del Corso di Laurea Med-Tech, Politecnico di Milano.
Gli ospedali di oggi hanno un problema logistico ed edilizio e, in molti casi, non sono in grado di acquisire e mantenere i più innovativi macchinari. Ma a fronte di ciò, bisogna in ogni modo garantire equità di accesso alle cure, medicina di genere, sostenibilità dei trattamenti.

Il problema delle specializzazioni

«Il problema di oggi non è la carenza di medici, il problema è la redistribuzione delle specializzazioni. Quanti medici non hanno mai realmente toccato un paziente?», si è chiesto Alessandro Colombo, direttore dell’Accademia di Formazione per il servizio sociosanitario lombardo, Polis Lombardia. «Occorre ripartire dalla formazione, ripensare le specializzazioni per andare incontro alle reali esigenze sanitarie del Paese», ha concluso.

Elena D’Alessandri