Trapianto di cuore a organo battente, alcuni casi da Stanford Medicine

(credit: Stanford Medicine)

Nel 2022 in Italia sono stati eseguiti 254 trapianti di cuore, tutto da donatore deceduto e a cuore fermo. Nello stesso anno, negli Stati Uniti, questi trapianti hanno superato le 40.000 unitĂ , in almeno un caso, a cuore battente.
L’idea è venuta al chirurgo cardiotoracico della Stanford Medicine Joseph Woo che, in questo modo, voleva proteggere il tessuto dell’organo da eventuali danni ve dare al ricevente maggiori possibilitĂ  di vivere con un cuore sano.

Data l’alta richiesta di cuori per il trapianto, nel tempo i medici hanno iniziato a utilizzare anche organi di persone morte e con cuore fermo: la procedura prevede quindi di riossigenare l’organo con una perfusione di sangue a temperatura corporea, per poi stopparlo una seconda volta prima di procede all’intervento.

Il team ha quindi riperfuso il cuore con sangue ossigenato e a temperatura corporea, portandolo a battere nuovamente, per poi trapiantarlo mentre ancora pulsante nel ricevente. In questo modo, sembra che i pazienti abbiano outcome migliori, non solo nel medio termine, ma anche nell’immediato, necessitando di un ricovero piĂą breve, per esempio.

Secondo questi pionieri, supportati da studi di letteratura, fermare il cuore una seconda volta prima del trapianto ne ridurrebbe la forza. La tecnica è stata utilizzata la prima volta nell’ottobre del 2022, per poi essere ripetuta altre 5 volte, 4 su pazienti adulti e, piĂą di recente, anche 1 su un paziente pediatrico.

Il protocollo ideato dalla Stanford Medicine può essere utilizzato solo quando il donatore muore all’interno della stessa struttura, perchĂ© si può così ridurre al minimo il periodo di anossia. Quando il paziente donatore viene definito morto, infatti, si proceda all’espianto del cuore che viene subito inserito in un apposito box, dove viene perfuso con il sistema TransMedics Organ Care System (OCS), venendo riportato al battito.

In questo stato viene portato in sala operatoria, dove il team chirurgico lo collega prima a un secondo sistema di perfusione, effettuato attraverso un bypass cardiopolmonare, con pressione alla radice di 100 mmHg.
A questo punto, il cuore viene staccato dall’OCS e spostato sul tavolo operatorio sterile, per essere poi inserito nel petto del ricevente, senza mai fermarne il battito, che è stato mantenuto a 60 pulsazioni al minuto.

Si tratta di una procedura delicata, che consente però una migliore ripresa dei pazienti. Chi era in sala operatoria lo scorso ottobre si ricorda di essersi sentito sicuro, perché consapevole di poter sempre tornare alla procedura convenzionale.
Il tempo di perfusione tramite OCS è stato, in questo primo caso, di 341 minuti. I cardiochirurghi che hanno utilizzato questa procedura ne sono entusiasti e, soprattutto, sono orgogliosi di aver avviato una possibile rivoluzione in ambito trapiantologico.

(Lo studio: Aravind Krishnan, Patpilai Kasinpila, Hanjay Wang, Chawannuch Ruaengsri, Yasuhiro Shudo, Ethan Jackson, Y. Joseph Woo. First-in-human beating-heart transplant. Journal of Thoracic and Cardiovascular Surgery Techniques. Pubblicato il 1 marzo 2023. Doi: https://doi.org/10.1016/j.xjtc.2023.02.015)