Nel 2023 in Italia sono stati diagnosticati circa 50.500 tumori al colon-retto, patologia oncologica per la quale esiste uno screening nazionale, offerto dal SSN ai soggetti di età compresi tra 50 e 69 anni. Lo screening consiste per lo più da una ricerca del sangue occulto nelle feci ogni due anni.
In presenza di sangue, si procede con ulteriori approfondimenti. Alcuni, pochi, programmi di screening offerti dalle Regioni utilizzano la rettosigmoidoscopia, eseguita una sola volta tra i 58 e i 60 anni. Scopo dello screening non è solo individuare eventuali lesioni maligne, ma anche lesioni benigne, dato che spesso evolvono in tumore negli anni.
Uno studio del Massachussetts Institute of Technology sottolinea l’importanza di sottoporsi allo screening per ridurre il rischio di sviluppare tumore al colon-retto. Pubblicato su PNAS, lo studio ha due soli autori: Josh Angrist, professore di economia al MIT, e Peter Hull, professore di economia alla Brown University.
Lo screening è più efficace del previsto
Rianalizzando cinque grandi studi randomizzati e controllati condotti in altrettanti Paesi, Angrist e Hull hanno evidenziato che lo screening riduce dello 0,5% la possibilità di sviluppare questa forma di tumore nella decade successiva. Si tratta di una percentuale doppia rispetto a quella individuata da precedenti studi.
Qual è la ragione di esiti tanto differenti? Secondo i due autori la questione è di carattere metodologico: occorre tenere conto della non aderenza delle persone invitate allo screening, possibile soprattutto se questo si basa su una colonscopia o una sigmoidoscopia.
Spiega Angrist nel comunicato stampa rilasciato dal MIT: «la non aderenza è spesso estesa negli studi clinici randomizzati, soprattutto quando vengono proposti interventi relativamente spiacevoli, come nel caso dello screening per il cancro del colon-retto. Non sempre l’offerta di una colonscopia è presa con entusiasmo dai pazienti». Vediamo, quindi, come si sono mossi i due autori.
Il problema è tener conto della non aderenza
Nel loro lavoro, i due economisti si sono accorti che il tasso di reale partecipazione allo screening varia tra il 42% e l’87%, il che incide fortemente sui risultati finali. Tenuto conto della reale partecipazione, di vede che lo screening ha effetti molto maggiori del previsto sullo sviluppo di tumori al colon-retto.
Inoltre, una volta effettuati gli aggiustamenti per reale partecipazione, le variazioni normalmente presenti tra diversi studi si livellano, fornendo risultati simili e, quindi, un’evidenza più forte. Un’informazione che potrebbe aiutare la popolazione a decidere di sottoporsi davvero allo screening stesso.
Secondo Angrist, infatti, avere certezza dell’efficacia di sottoporsi a una colonscopia, o sigmoidoscopia, potrebbe convincere anche i più dubbiosi a sottoporsi allo screening. Al momento in Italia la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 65% negli uomini e del 66% nelle donne. Dati dell’Osservatorio Nazionale Screening riferiti al periodo 2018-2021 indicano un tasso medio nazionale di adesione all’invito del 38,7%, con picchi massimi del 47,9% al Nord e minimi del 23,7% al Sud.
Interessante osservare anche che, a fronte di un esame positivo per esame delle feci, circa un 20% della popolazione interessata non si sottopone alla colonscopia di approfondimento. Resta quindi ancora molto da fare per aumentare la consapevolezza della popolazione rispetto a questo intervento di prevenzione.
(Lo studio: Angrist JD, Hull P. Instrumental variables methods reconcile intention-to-screen effects across pragmatic cancer screening trials. Proc Natl Acad Sci U S A. 2023 Dec 19;120(51):e2311556120. doi: 10.1073/pnas.2311556120. Epub 2023 Dec 15. PMID: 38100416; PMCID: PMC10742387)