Un nuovo mondo in 3D

3D printingLe stampanti 3D vanno diffondendosi sempre piĂą anche in campo medico: tecnologie evolute ad alta precisione che permettono di esplorare nuove frontiere nello sviluppo di biomateriali avanzati.
Ormai non passa giorno che non si apra un giornale senza trovare un articolo sull’ultima applicazione delle stampanti 3D: poco importa che si tratti di stampare un portacellulare o un orecchio artificiale da impiantare in un paziente, la tecnologia di stampa in tre dimensioni è qualcosa che, nel giro di pochi anni, sta diventando sempre più parte della nostra vita quotidiana.
Anche i costi sono sempre più ridotti, almeno per le stampanti di uso quotidiano e hobbistico che sono ormai acquistabili per poche migliaia di euro al massimo presso i negozi specializzati. Un trend di mercato non troppo dissimile da quello delle stampanti tradizionali, a getto d’inchiostro o laser, che sono diventate una commodity a poco prezzo, spostando la remunerazione per il produttore alla vendita dei toner. In modo del tutto analogo, anche per le stampanti 3D quello che si va sempre più delineando sembra essere un mercato in cui l’hardware sarà sempre più diffuso e relativamente poco dispendioso, mentre più costosi dovrebbero essere i materiali utilizzati per la stampa.

Una rivoluzione in campo medico

L’avvento delle stampanti 3D potrebbe aprire orizzonti infiniti in campo medico: numerosi sono ormai gli esempi di riproduzione tridimensionale di parti del corpo umano. Quella che oggi appare l’ultima frontiera per l’applicazione di queste tecnologie è la realizzazione di tessuti e organi “stampati” e pronti per l’impianto sul paziente. La tecnica si chiama bio-printing e utilizza come materiali per la stampa cellule e biopolimeri idrogel inerti, che miscelati insieme in opportune quantità formano il cosiddetto bio-inchiostro. La stampante 3D è dotata di due testine che depongono il bio-inchiostro uno strato per volta, inglobando le cellule nell’idrogel che funge da supporto.
La tecnologia alla base delle applicazioni biomedicali della stampa 3D è estremamente più precisa e raffinata di quella delle normali stampanti per uso domestico. Uno dei primi prototipi di biostampante, Novogen MMX Bioprinter, è stato sviluppato da Gabor Forgacs dell’Università del Missouri. Oggi la tecnologia 3D è già utilizzata sul piano industriale per la produzione, per esempio, di piastre di coltura cellulare in cui le cellule sono deposte nei pozzetti via stampa tridimensionale, invece che secondo le tecniche classiche bidimensionali. La tridimensionalità del terreno di coltura dovrebbe rendere il test in-vitro più fedele rispetto alle reali condizioni fisiologiche, in quanto la disposizione delle cellule nell’idrogel di supporto riflette molto più da vicino quella dei normali tessuti del corpo umano, essendo le cellule deposte strato per strato proprio in modo da replicare l’ambiente naturale.
La californiana Organovo, una delle prime aziende biotech a concentrarsi sulle potenzialità biomediche della stampa 3D, ha sviluppato la piattaforma NovoGen Bioprinting™ proprio a partire dagli studi di Forgacs. La società ha annunciato di recente l’avvio di test di tossicità preliminari al rilascio di un metodo di stampa 3D di tessuto epatico umano (3D Human Liver Tissue). Il metodo, secondo quanto reso noto dall’azienda, permette di condurre studi in vitro di lunga durata per la valutazione di regimi terapeutici a basse dosi o a dose ripetuta, con riferimento a una vasta gamma di endpoints biochimici, molecolari e istologici. Keith Murphy, Ceo della società, ha dichiarato che già una quindicina di aziende farmaceutiche, biotech e venture capital del settore hanno dimostrato interesse per il metodo e saranno coinvolte in una prima fase di lancio della tecnologia, che riguarderà clienti con necessità specifiche di testare nuovi farmaci in fase di discovery preclinica, con alcuni dei quali sono già stati firmati i contratti di servizio. La seconda fase implicherà invece il lancio completo della tecnologia 3D Human Liver Tissue, comprensiva anche delle funzioni metaboliche.

Organi pronti all’uso

Non solo colture cellulari per test in vitro: il futuro della stampa 3D in medicina sembra avere le porte aperte anche rispetto alla produzione di organi, vasi sanguigni o altre parti pronte per essere impiantate nei pazienti.
Risale al 2012 il primo esempio dell’impianto di uno splint tracheale prodotto con tecnologia 3D in un bambino affetto da una grave problema ai bronchi che impediva la respirazione. L’intervento è stato condotto presso l’Università del Michigan da Glen Green e Scott Hollister e riportato sul New England Journal of Medicine. L’équipe medica ha creato uno splint tracheale in policaprolattone, ottenendo l’autorizzazione d’urgenza all’impianto da parte dell’Fda. Lo splint, modellato al computer sulla base di una tomografia della trachea e dei bronchi del paziente, è stato stampato con tecnologia laser e ha la funzione di mantenere aperte le vie aeree del bambino supportandole nella crescita. L’uso di un polimero bioriassorbibile in un tempo circa pari a quello richiesto al ripristino della normale anatomia del tratto bronchiale interessato ne permetterà la rigenerazione con contemporanea graduale scomparsa dell’impianto in circa tre anni. Il progetto è tutto interno all’Università del Michigan e vede la collaborazione della Medical School e del College of Engineering; il metodo ha portato anche alla creazione di repliche di orecchi, naso e ossa destinate a essere testate in studi pre-clinici.
Che dire poi della ragazza olandese di 23 anni che ha subito la sostituzione dell’intera calotta cranica, che aveva raggiunto i 5 cm di spessore (di norma lo spessore dell’osso è 1 cm)? L’ispessimento le causava la compressione del cervello, con forti emicranie e perdita della vista. La calotta cranica è stata sostituita con una protesi in plastica Pekk (polyetherketone) realizzata dall’australiana Invetech. Anche in questo caso la protesi è stata modellata sulla base degli esami radiografici della paziente, che già dopo tre mesi dall’intervento è tornata a una vita normale e al proprio lavoro avendo recuperato la vista e senza più mal di testa. L’intervento è durato ben 23 ore ed è stato eseguito dal neurochirurgo Bon Verweij del Medical Center dell’Università di Utrecht.
In Giappone è invece la ricerca pubblica che sta testando le possibili applicazioni della stampa 3D alla creazione di ossa artificiali: il progetto del Nedo (New Energy and Industrial Technology Development Organization), in collaborazione con il Riken, la Tokyo University e Next 21 K.K., è attualmente in fase di esame regolatorio prima di poter procedere alle prime prove cliniche.
All’Università di Princeton la ricerca si è spinta ancora oltre: l’orecchio bionico creato grazie alla stampa 3D include anche un’antenna in grado di ricevere onde radio con una sensibilità molto più fine di quella del normale udito umano. Il gruppo guidato dal docente di meccanica e ingegneria aereospaziale Michael McAlpine si è proposto di investigare meglio i problemi meccanici e termici che spesso si osservano nell’interfacciare materiali elettronici e biologici ed è arrivato a produrre, con una semplice stampante 3D acquistata in internet, un pezzo unico in cui biologia ed elettronica sono state fatte “crescere” insieme, non sono state semplicemente accoppiate. Le applicazioni cibernetiche studiate dal gruppo di Princeton potrebbero estendersi ben al di là della normale medicina, come ha commentato lo stesso ricercatore. «Questo campo ha il potenziale di creare parti di ricambio personalizzate per il corpo umano, o anche di creare organi dotati di capacità ben al di là quelle fornite di norma dalla biologia umana».

Interazioni multidisciplinari

Ovviamente non basta un medico, per quanto competente, per progettare e stampare un manufatto 3D da usare in medicina: lo studio e la realizzazione di questo tipo di prodotti richiede l’interazione sinergica di una vasta gamma di competenze, dall’ingegneria meccanica e dei materiali all’informatica, dalla competenza medica a quella regolatoria. Le aziende informatiche che producono le stampanti 3D, in particolare, offrono ormai una vasta gamma di servizi mirati ai diversi settori di applicazione della tecnologia e aventi lo scopo di supportare l’utilizzatore non specializzato nella messa a punto ottimale del manufatto. L’americana 3D System, per esempio, sviluppa soluzioni 3D che spaziano dall’architettura all’intrattenimento, dalla didattica all’aereospaziale, passando anche dalla medicina. In campo medico, l’azienda offre ai clienti, tra le altre, la possibilità di preparare l’intervento utilizzando modelli pre-operatori, la pre-modellazione dell’impianto con uno studio accurato che prende in considerazione elementi di dettaglio quali traiettorie e posizionamento delle viti e la creazione di modelli personalizzati o di modelli per l’utilizzo da parte degli studenti di medicina.
Abbiamo necessariamente riportato un panorama molto ristretto di quelle che, a oggi, sono le applicazioni piĂą interessanti della stampa 3D in campo medico: un settore in continua a dirompente espansione che con mancherĂ  nei prossimi anni di richiamare nuovamente la nostra attenzione con innovazioni sempre piĂą raffinate e dal potenziale applicativo ancora tutto da esplorare e quantificare dal punto di vista economico in modo compiuto.

Come funziona una stampante 3D

Il principio alla base del funzionamento delle stampanti 3D non è niente di complicato: l’oggetto tridimensionale è ottenuto sulla base di un modello computerizzato, preparato con software dedicati, che viene quindi “stampato” deponendo uno strato sopra l’altro di materiale nella forma desiderata. L’oggetto può essere realizzato in un unico materiale o anche con combinazione di materiali diversi tra loro: qualunque sia la soluzione adottata, vi è sempre un’aggiunta progressiva, uno strato sopra l’altro, di nuovo materiale modellato nella forma desiderata dal braccio meccanico che si muove all’interno della camera di stampa indirizzando in modo opportuno l’ugello da cui esce la materia prima.
Lo stampaggio può avvenire per estrusione, convogliando il bulk di polimero attraverso dei fori di forma e dimensioni adeguate (in modo analogo a quanto fatto per la produzione delle paste alimentari piuttosto che dei mattoni, per esempio), oppure per iniezione. Qualunque sia la tecnica adottata, la stampa 3D consente l’ottimizzazione della resa: non ci sono più scarti di lavorazione né parti che devono essere tagliate ed eliminate dal blocco grezzo di materiale. La stampante segue fedelmente, livello dopo livello, il profilo tridimensionale dell’oggetto preparato dal software, in un metodo produttivo definito “additivo”.
Tra gli infiniti tipi di plastiche esistenti, quelle che al momento hanno trovato maggiori applicazioni nel campo della stampa 3D di oggetti di uso quotidiano sono il copolimero termoplastico sintetico Abs (acrilonitrile-butadiene-stirene), che è adatto sia alle tecniche basate sull’estrusione che per quelle ad iniezione e che richiede temperature di circa 250°C. L’acido polilattico (Pla) è un biopolimero ottenuto da fonti naturali e pertanto biodegradabile; esso ha una temperatura di fusione più bassa e offre una minore resistenza a urti e usura rispetto all’Abs.

Giuliana Miglierini