Valore e potenzialità del digitale nella long term care

Un’assistenza domiciliare integrata digitalmente può contribuire a un significativo svuotamento dei Pronto Soccorso: questa una delle conclusioni della sessione dedicata al digitale nell’economia dell’iniziativa “Long Term Care – Gli Stati Generali dell’Assistenza a Lungo Termine”, promossa da Italia Longeva e svoltasi a Roma presso il Ministero della Salute.
Il problema essenziale è l’esigenza di sperimentazioni cliniche metodologicamente solide.

Nell’economia dell’iniziativa Long Term Care, è stata organizzata una specifica sessione dedicata a come il digitale promuove le più evolute tecnologie che possono fornire un contributo utile alla risoluzione delle tante criticità che questo particolare settore del sistema della salute registra in Italia.

Tecnologie e device digitali per ridurre i “colli di bottiglia” del Sistema Sanitario Nazionale

In estrema sintesi, le tecnologie digitali al servizio della Long-Term-Care (da cui giustappunto l’acronimo LTC) hanno come obiettivo primario quello di ridurre le esigenze di medicalizzazione, allentando così lo stress sociale ed economico del sistema sanitario.

Gli anziani si trovano infatti spesso costretti, di fronte a crisi patologiche anche di lieve significatività, a ricorrere al pronto soccorso, se non addirittura al ricovero, determinando una overdose di istanze per il sistema ospedaliero.

Il digitale può contribuire a ridurre, se non eliminare, in modo determinante i colli di bottiglia, a partire dalle code in attesa ai Pronto Soccorso. In sostanza, può ridurre sia il rischio di collassi dei pazienti sia il rischio di collassi del sistema sanitario.

Ricordiamo che, se la spesa sanitaria incide per circa il 7% sul totale del Pil del nostro Paese, si stima che la long term care pesi per l’1,1% del Pil: si tratta di cifre impressionanti.

Il dibattito promosso da Italia Longeva è stato policentrico e stimolante.

Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs, ha sostenuto che «si deve passare dalla visione di alcuni device tecnologico-digitali – quali gli orologi e i braccialetti intelligenti – come gadget (quasi dei giocattoli) alla loro interpretazione e applicazione come dispositivi clinici veri e propri, che possono aiutare il sistema sanitario da diversi punti di vista. Dobbiamo affrontare un salto di paradigma».

Un Apple Watch, insomma, non è un giocattolo, ma può divenire uno strumento utile per ridurre le esigenze di medicalizzazione dei pazienti anziani, ovvero di coloro che sono sottoposti a programmi di assistenza a lungo termine: basti pensare che il nuovo Apple Watch può eseguire ECG.

Il lancio dell’Apple Watch Series 4 propone infatti innovazioni significative, non solo perché il display dell’ultimo arrivato della Apple è circa il 30% più grande dei precedenti (potendo così ospitare in una sola schermata maggiori informazioni) e non soltanto perché permette di sfruttare la connettività dati su rete 4G per garantire la possibilità di collegarsi a internet ed effettuare e ricevere telefonate senza il supporto dell’iPhone, ma anche perché è stato riconosciuto come dispositivo medico da parte della FDA.

In alcuni casi, per patologie particolari come l’epilessia, la strumentazione digitale può assolvere un ruolo prezioso.

L’assenza di protocolli e di validazione scientifica

Il problema di fondo – in verità lamentato da tutti gli intervenuti – è l’assenza di protocolli riconosciuti, che possano dimostrare l’effettiva efficacia di queste tecnologie. Si tratta peraltro di mercati che non sono propriamente di nicchia, ma la criticità è la validazione scientifica di questi dispositivi: servono sperimentazioni cliniche metodologicamente solide. Si ricordi che giganti come Nokia si sono affacciati in questo business, ma ne sono presto usciti.

Queste tecnologie digitali sono certamente utili nel monitoraggio e nell’assistenza rispetto a patologie come il diabete (soprattutto di tipo 2), e possono contribuire, insieme a un’alimentazione equilibrata e al sano esercizio fisico, a tenere sotto controllo ogni rischio di degenerazione.

Dalla medicina episodica alla deep medicine

Spiazzante l’intervento di Giorgia Zunino, strategic project manager dell’Asl Roma 1: di professione architetto, ha deciso di lasciare il proprio percorso professionale e per un anno si è dedicata a capire come potrà essere l’ospedale del futuro.

Da questa sua esperienza sul campo, è nata l’idea di un Parco della Salute e del Benessere, in fase di progettazione nell’ambito dell’Asl Roma 1, che propone una nuova visione del rapporto tra paziente e ospedale, avvalendosi anche delle più evolute tecnologie digitali.

Come ha sostenuto Kevin Kelly, la tecnologia è l’esoscheletro delle idee e la cultura digitale incarna idee destinate a cambiare radicalmente la nostra visione del mondo.

Nel giro di pochi anni si passerà da una “medicina episodica”, basata su un set di pochi dati, alla “deep medicine”, una nuova forma di medicina multidimensionale che prende in considerazione un enorme flusso di dati, psicologici, sociali, finora per lo più trascurati nel trattamento delle patologie.

La relazione tra il paziente e il suo ambiente di riferimento sarà presa in considerazione in modo sempre più determinante.

Tante potenzialità ma poche certezze

Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’ISS, ha ricordato che non si può legiferare a livello nazionale in una materia che è di stretta competenza regionale, quindi anche il problema dello sviluppo del digitale nel sistema sanitario italiano si scontra con procedure parcellizzate e complesse.

«Si sta lavorando a delle linee guida che dovrebbero essere recepite nelle normative a livello regionale, ma è un processo complicato e lento. Debbono cambiare le modalità per promuovere l’innovazione digitale, e debbono essere organizzati trial multiregionali policentrici», ha sostenuto.

Maria Chiara Carrozza, direttore scientifico della Fondazione Don Carlo Gnocchi, ha segnalato che in un futuro di medio periodo ci si potrà avvalere di algoritmi di intelligenza artificiale che aiuteranno in modo determinante il lavoro anzitutto del medico ma anche delle strutture ospedaliere.

Francesca Cecamore (Dipartimento Sanità e Ricerca dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali) ha evidenziato il rischio che queste tecnologie – e le procedure connesse nel trattamento delle informazioni – possano violare i diritti alla riservatezza, ma ha sostenuto che l’Authority per la privacy sta monitorando con cura le evoluzioni e le sperimentazioni in atto.

Claudio Dario, direttore sanitario dell’Apss Trentino, ha teorizzato che il digitale potrà presto produrre anche scenari predittivi di grande utilità.

Sergio Pillon, coordinatore della Commissione di Sviluppo della Telemedicina del Ministero della Salute, ha ricordato che si deve riflettere attentamente sulle tante potenzialità teoriche e sul riscontro delle concrete applicazioni. Per esempio, questi device possono rivelarsi utili nell’interazione, triangolazione, paziente-badante-parenti, e nel monitoraggio attento e continuativo di alcune patologie.

Intervento conclusivo quello di Marcella Marletta, a capo della Direzione Generale dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico del Ministero della Salute, che ha ricordato come la materia sia ancora molto aleatoria, perché «non esistono regolamenti che possano consentire in Italia una applicazione immediata di queste nuove tecnologie, che quindi devono essere considerate ancora in una fase di sperimentazione», ha sostenuto.

Il benchmark di Israele, Paese con ospedali poco affollati grazie al massiccio uso di tecnologie digitali evolute, è purtroppo ancora lontano. Israele è all’avanguardia nell’utilizzo degli strumenti digitali in ambito sanitario: il cittadino che ha bisogno del proprio medico di medicina generale può prenotare una visita in maniera telematica, tutti i referti sono trasmessi per via elettronica, tutto è archiviato – dall’ambulatorio all’ospedale, fino agli eventi amministrativi – in un funzionale sistema di big data sanitario.

Il nostro Ministero della Salute si sta comunque attrezzando al meglio per immaginare un nuovo modo di organizzare il sistema sanitario, per migliorare le modalità di accesso ed erogazione delle cure, anche grazie agli strumenti offerti dalle nuove tecnologie.

Emerge l’ipotesi di valutare l’inserimento della digitalizzazione in sanità nei Lea. La valutazione della commissione ministeriale dedicata ai Lea potrebbe prevedere la collaborazione dell’HTA, che si pone come strumento volto a favorire lo sviluppo e l’innovazione, salvaguardando la sostenibilità dei sistemi sanitari universalistici e qualificando i processi di cura.

Si ricorda che l’HTA si pone come approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle implicazioni medico-cliniche, sociali, organizzative, economiche, etiche e legali di una tecnologia – attraverso la valutazione di più dimensioni quali l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e organizzativo.

L’obiettivo è valutare gli effetti reali e potenziali della tecnologia, sia a priori sia durante l’intero ciclo di vita, nonché le conseguenze dell’introduzione o esclusione di un intervento sul sistema sanitario, sull’economia e sulla società.

Si ricorda che, in occasione della presentazione del Documento di Governance dei Dispositivi Medici, nel marzo 2019, il ministro della Salute Giulia Grillo ha sostenuto che «la nostra proposta per una nuova governance prevede una nuova strategia per il governo dell’innovazione dei dispositivi medici. I dispositivi medici hanno acquisito un ruolo centrale nella pratica clinica, migliorando sia la salute che la qualità della vita dei pazienti. L’industria dei dispositivi medici, che conta in Italia 4 mila imprese e circa 67 mila addetti, è infatti considerevolmente cresciuta negli ultimi anni, di pari passo con l’espansione della sfera assistenziale che ricopre».

In conclusione, è indubbio che lo sviluppo di un’assistenza domiciliare integrata digitalmente possa contribuire a un significativo svuotamento dei Pronto Soccorso: l’obiettivo è chiaro e apprezzabile, ma il percorso rimane ancora molto incerto.

Elena D’Alessandri