Per l’ospedale di Verduno la prima emergenza pandemica ha costituito un vero e proprio stress test, il cui esito positivo ha evidenziato l’importanza della flessibilità spaziale e tecnologica per le strutture sanitarie contemporanee.

A lungo atteso, il nuovo ospedale Michele e Pietro Ferrero è entrato in funzione nel marzo 2020, con qualche mese d’anticipo rispetto alle tempistiche programmate, in quanto individuato quale centro di riferimento del Piemonte per l’emergenza pandemica all’inizio della pandemia.

Veduta da nord-est del nuovo ospedale Michele e Pietro Ferrero (credit: ing. Roberto Dassano)

Partenza in salita

L’arch. Ferruccio Bianco è direttore della S.C. Servizi Tecnici dell’ASL CN2 ed è stato Responsabile del procedimento del nuovo ospedale: «Quando è stata dichiarata l’emergenza la struttura era completa dal punto di vista edile, in larga parte già arredata ed equipaggiata con le tecnologie medicali, ma non era ancora stata interamente collaudata.

Arch. Ferruccio Bianco, ASL CN2

Inizialmente la necessità di intervenire in tempi rapidi ha creato qualche problema, legato sia alle poche informazioni disponibili circa la malattia, sia a una conduzione della commessa non particolarmente brillate da parte del concessionario. Ciò nonostante siamo riusciti ad attivare diverse aree Covid-19 (per l’osservazione, le cure intensive e la degenza dei pazienti) e, successivamente, a completare tutti i trasferimenti dagli ospedali esistenti nei tempi previsti.

Durante la seconda e la terza emergenza, l’esperienza compiuta ha invece permesso all’ospedale di affrontare al meglio una situazione forse più complessa, almeno per quanto riguardava i numeri, rispetto a quella della prima emergenza. Nei fatti, quanto avvenuto ha messo in luce un aspetto decisamente positivo del nuovo ospedale.

L’intrinseca flessibilità e le generose superfici disponibili specie negli spazi collettivi ci ha infatti permesso di organizzare in modo efficace percorsi differenziati (anche all’interno di reparti complessi, come il Blocco operatorio) e reparti dedicati, allestendo quanto necessario dal punto di vista strutturale e impiantistico, senza incontrare particolari difficoltà».

Interno della nuova Terapia Intensiva, con i box vetrati per il posti letto isolati e l’area open space (credit: ing. Roberto Dassano)

La peculiare concezione dell’ospedale – una grande piastra di 6 livelli, innervata da una galleria e sormontata dai settori di degenza – si è perciò rivelata una felice intuizione.

«Sì, soprattutto per alcuni aspetti che potrebbero sembrare banali, ma che si sono poi dimostrati molto utili. È il caso, per esempio, della presenza di un livello tecnico situato a metà rispetto allo sviluppo verticale dell’ospedale, che ha facilitato la trasformazione di un reparto di degenza in una terapia intensiva Covid-19, permettendo l’adeguamento delle portate dell’impianto di ventilazione.

Lo stesso vale per le reti tecnologiche, che sono state modificate senza la necessità di interventi particolarmente invasivi, per esempio durante la realizzazione dei filtri sanitari posti a separazione fra le diverse aree, come anche della nuova area radiologica dotata di una TAC e di un apparecchio Rx polifunzionale – non prevista dal progetto originario – all’interno del Pronto soccorso».

L’importanza della flessibilità

L’ing. Roberto Dassano (4CE) ha coordinato la progettazione costruttiva e ha effettuato la direzione dei lavori operativa delle aree a maggior complessità tecnologica-biomedicale: «Nell’approntamento dei reparti destinati ai pazienti Covid-19 abbiamo seguito le linee guida emanate al riguardo, in modo da minimizzare il rischio di diffusione del contagio, in stretta collaborazione con i Servizi Tecnici della ASL e con la struttura commissariale.

Ing. Roberto Dassano, 4CE Progettazione e Ingegneria Medicale

Gli interventi si sono concentrati principalmente sugli impianti fluidomeccanici – in particolare per incrementare il numero di ricambi di aria e per creare i gradienti di pressione idonei a un reparto intensivo per pazienti infettivi – e sugli impianti elettrici e speciali – per dotare gli ambienti interessati di un livello di sicurezza opportuno (gruppo 2), anche sotto il profilo della continuità del servizio».

Quali sono state le criticità incontrate in corso d’opera per la parte legata all’ingegneria clinica?
«In generale, durante la realizzazione di un ospedale l’acquisizione delle tecnologie biomedicali segue un percorso differente rispetto alla costruzione del sistema edificio-impianti. Questo comporta spesso la necessità di intervenire a posteriori, specie sull’impiantistica, per realizzare gli adeguamenti necessari all’installazione delle tecnologie.
In questi interventi, la presenza nel gruppo di progettazione di professionisti nel settore delle tecnologie biomediche ha consentito non solo di minimizzare gli adeguamenti, ma anche di contenere i tempi per l’attivazione del nuovo ospedale, con evidenti vantaggi sotto il profilo economico.

In prospettiva, l’inserimento delle competenze di ingegneria clinica all’interno del team di progetto – per affrontare aspetti quali la progettazione organizzativa e quella medicale parallelamente a quella dei settori più tradizionali dell’architettura, delle strutture e degli impianti meccanici ed elettrici, anche attraverso l’utilizzo di software BIM based – garantisce un efficace coordinamento fra la fasi di progettazione, lavorazioni di cantiere e installazione delle tecnologie biomediche, ottimizzando le fasi di lavoro ed evitando successive rilavorazioni».

Interventi per l’emergenza pandemica

Gli interventi previsti presso l’ospedale di Verduno dal “Piano straordinario di riorganizzazione della rete ospedaliera in emergenza Covid-19” hanno interessato la realizzazione di:
un’area per l’Osservazione (superficie 430 m2) con percorsi dedicati
una nuova Terapia Intensiva.

L’area di osservazione è contigua alla camera calda del Pronto Soccorso: dispone di 8 camere di degenza singole dotate di servizio igienico interno, più sala gessi e spazi di servizio. L’impianto di climatizzazione è del tipo a tutt’aria esterna (ricambio d’aria minimo 6 vol/h): mantiene gli ambienti in depressione rispetto alle aree circostanti e attua la filtrazione dell’aria espulsa all’esterno tramite filtri assoluti (H14).

Interno della nuova Terapia Intensiva, con i box vetrati per il posti letto isolati e l’area open space (credit: ing. Roberto Dassano)

La nuova Terapia Intensiva (770 m2) mette a disposizione 11 posti letto ordinari, in open space, e 3 posti letto isolati, in camere singole con accesso tramite filtro, oltre agli spazi di supporto e servizio previsti dalle norme per l’accreditamento. La conversione dell’area interessata ha comportato:
– la rimodulazione degli spazi interni, anche per realizzare locali specifici per vestizione e svestizione del personale
– l’adeguamento degli impianti elettrici esistenti, per la conversione delle postazioni da gruppo 1 (degenza ordinaria) a gruppo 2 (postazioni per rianimazione)
– l’adeguamento degli impianti meccanici, per ottenere la depressione negli ambienti e operare la filtrazione dell’aria espulsa
– il potenziamento dell’impianto dei gas medicali.
I singoli posti letto sono attrezzati con pensili tandem a soffitto, mentre la separazione dei posti letto nell’open space è affidata a divisori a tende scorrevoli su binari, realizzati con materiali antibatterici.

Giuseppe La Franca, architetto