Secondo ai dati OMS, ogni anno le infezioni correlate all’assistenza (ICA) in Europa causano 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza, 37 mila decessi direttamente attribuibili, 110mila decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa e circa 7 miliardi di euro di costi diretti. Uno studio di Assobiomedica ha contestualizzato il fenomeno nel nostro Paese, rilevando circa 7 mila decessi direttamente imputabili alle ICA e 1 miliardo di euro in capo al servizio sanitario nazionale.

Nonostante la sua portata drammatica, la conoscenza del fenomeno era fino a poco tempo fa appannaggio soltanto degli addetti ai lavori. In epoca Covid lo stesso si è posizionato progressivamente al centro dell’interesse e del dibattito collettivo.
L’impatto clinico, sociale, umano ed economico del livello di diffusione delle infezioni correlate all’assistenza rappresenta, difatti, un elemento centrale di crisi sanitaria.
L’emergenza pandemica ha, evidentemente, rafforzato l’attualità del tema e la centralità strategica della gestione delle infezioni in un’ottica di prevenzione, monitoraggio e diffusione di buone pratiche.
Ma come fare concretamente a ridurre le infezioni nosocomiali? Non esiste chiaramente una ricetta, è importante tuttavia affrontare il problema a livello sistemico, in modo olistico.

L’indagine Assobiomedica

Nel primo trimestre 2017, Assobiomedica ha condotto un’indagine su 4 strutture ospedaliere – 3 pubbliche e 1 privata – in 5 reparti di degenza. È emerso che il 6% dei pazienti ricoverati presentava un’infezione correlata all’assistenza, con un picco registrato del 21,8% in terapia intensiva, fino a un 2,3%, nel reparto di ortopedia. La situazione aveva così determinato un aumento delle giornate di degenza di 2,4 volte. È infatti innegabile l’impatto che le infezioni ospedaliere hanno sulla sostenibilità stessa del sistema sanitario. Tuttavia, prevenzione, monitoraggio e buone pratiche possono determinare risparmi per il sistema e vantaggi, in termini di salute, per i pazienti.

Lo studio Assobiomedica mostrava infatti l’importanza di considerare l’intero percorso di cura del paziente – costellato di rischi infettivi – senza fossilizzarsi su un unico step, evitando di lavorare per sylos e prestando attenzione nel prevenire i rischi che si annidano in ogni attività e in ogni procedura. Il percorso di cura del paziente va quindi affrontato con un diverso paradigma, attraverso un approccio olistico, unitamente a tecniche di lean e risk management in grado di favorire prevenzione e sicurezza.

Sono questi i temi cruciali introdotti da Alida Nardiello, Lean Healthcare Consultant, Manager Telos Management Consulting, durante la sessione “Come fare per ridurre le infezioni correlate all’assistenza?” del Forum Sistema Salute del 1° e 2 ottobre, discussi con Fabrizio Gemmi, Coordinatore dell’Osservatorio per la Qualità ed Equità, Agenzia Regione di Sanità Toscana e Paola Antonioli, Responsabile Igiene Ospedaliera, Healthcare Infection Risk Management, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara.

Un approccio sistemico per ridurre le ICA e l’antibiotico-resistenza

«Non abbiamo una ricetta, possiamo tuttavia contare su una serie di strumenti che puntano alla multidisciplinarietà e al coinvolgimento di quanti possano portare miglioramenti al processo nella sua totalità. Eventi di natura infettiva negli ultimi 70 anni sono stati estremamente rilevanti, soprattutto rispetto all’evoluzione dei nostri sistemi ospedalieri. Non a caso, anche oggi, pensiamo a come sono cambiati e come dovranno cambiare gli ospedali nel dopo Covid», ha esordito Gemmi.

«Di tutti gli eventi avversi che possono presentarsi le ICA, proprio in quanto infezioni, sono le uniche che determinano una modificazione dell’ambiente microbiologico circostante, coinvolgendo tutti, tanto a livello di struttura, quanto a livello di personale. Lavorare sulle infezioni ospedaliere oggi vuol dire lavorare su tantissimi aspetti».

Come è ben noto inoltre le ICA oltre a determinare un incremento nel tasso di mortalità, un aumento dei tempi di degenza e un innalzamento dei costi a carico del sistema sanitario, sono responsabili del fenomeno dell’antibiotico resistenza, che si accompagna all’immissione in commercio e all’uso di antibiotici. L’impatto delle infezioni antibiotico resistenti è strettamente correlato a ricoveri nosocomiali e potrebbero diventare, entro il 2050, la prima causa di morte con 10 milioni di vittime a livello mondiale superando cancro, diabete e incidenti stradali.

Le cause di antibiotico resistenza sono molteplici e vanno considerate, come suggerito dall’OMS, con un approccio One Health, che guardi al contempo alla medicina umana, a quella veterinaria e alla situazione ambientale. Non basta infatti ridurre l’uso degli antibiotici – appropriato o inappropriato che sia – ma bisogna guardare alla situazione complessiva, al loro utilizzo in allevamento, in agricoltura e anche alla situazione igienica nella popolazione e nelle strutture sanitarie, mettendo in atto strategie di infection control, a partire dall’igiene delle mani.

Italia bollino nero in Europa

L’Italia è prima in Europa per frequenza di infezioni correlate all’assistenza e per quantità di anni in salute persi. Questo impatto è notevolissimo. Nella visione sistemica rientra l’intensità di cura, l’età della popolazione, la durata dell’ospedalizzazione, l’internalizzazione di soggetti non più autosufficienti in strutture. L’importanza è strutturare reti di sorveglianza regionale per controllare e ridurre questi fenomeni. È cruciale inoltre che le strategie di prevenzione vengano tarate sul fattore umano, considerando anche elementi come stanchezza e paura. Per ridurre l’errore umano è quindi indispensabile agire su un ridisegno dei processi da una parte e su una riorganizzazione, dall’altra di spazi e attrezzature.

Occorre asciugare e standardizzare i processi, andando a ridurne la variabilità. Bisogna cambiare paradigma.

«Non tutte le infezioni possono essere evitate, ma si stima che il 40% di esse siano evitabili implementando tecniche di visual management che mostri ad esempio le giornate senza eventi e rappresentarli agli operatori. Questa visualizzazione potrebbe stimolare la consapevolezza che tutte le infezioni sono imputabili a errori umani, mostrando che nel suo piccolo chiunque può fare qualcosa. La sfida va vinta tutti insieme», ha concluso Gemmi.

L’importanza del lean management e l’esperienza di Ferrara

Paola Antonioli ha mostrato degli esempi pratici di quanto il lean healtcare management sia di supporto all’infection control.
«La nostra struttura ha aderito nel 2018 al progetto pilota “Lean4Health” che utilizzava il lean management nella prevenzione delle ICA, scegliendo due reparti: chirurgia e riabilitazione.Il primo passo è stato quello di mappare tutto il percorso del paziente, dal pre-ricovero alle fasi di follow-up. È stato quindi definito un cronoprogramma con una lista di priorità volte a promuovere sicurezza del paziente e empowerment degli operatori. Nel 2019 inoltre l’azienda ha partecipato allo studio Cows per intercettare precocemente i pazienti con sepsi che nell’88,5% dei casi era già presente in pronto soccorso con tasso di mortalità superiore al 30% (352 pazienti su 933)», ha sostenuto Paola Antonioli.

L’obiettivo era quello di ridurre del 10% i casi di sepsi e la relativa mortalità. L’emergenza Covid ha impedito di applicare questo percorso alla sepsi, ma le linee guida proposte sono state applicate nel contrastare la pandemia di Covid-19. L’approccio di prevenzione e gestione ospedaliera si è dimostrato efficace.

«Abbiamo disegnato un percorso paziente, con una riorganizzazione di spazi, percorsi e aree di isolamento. Sono stati quindi messi in campo progetti visual divisi per fasi, dalla fase 0-1, quindi con progressive implementazioni in fase 2 e poi di ripresa in fase 3 con riorganizzazioni di flussi e spazi. Sono stati fatti inoltre protocolli di istruzione operativa con corsi di addestramento per gli operatori, anche attraverso video, come nel caso di vestizione-svestizione, un processo cruciale per scongiurare il contagio nei reparti Covid».

La pandemia ha chiesto rapidità e flessibilità nelle procedure. La struttura di Ferrara ha gestito in modo dinamico l’emergenza, riuscendo a fornire supporto anche alle province che hanno avuto maggiore incidenza di casi. Le conoscenze, la metodologia di Lean Healthcare Management utilizzata e l’esperienza acquisita sono servite a supporto della gestione di eventi emergenziali, come il Covid, per intervenire in modo più tempestivo, snello ed efficace. Le strategie di Lean thinking hanno mostrato la loro efficacia nella gestione del rischio infettivo, implementando azioni di miglioramento capaci di controllarne e minimizzarne l’impatto. Mettendo a frutto le esperienze pregresse è stato possibile gestire in modo più sicuro anche la fase emergenziale pandemica.

Elena D’Alessandri