Dal Rapporto Meridiano Sanità spunti per migliorare il sistema Paese

Dieci punti che, nel medio-lungo periodo, promettono di ristrutturare il sistema Paese, partendo da prevenzione e investimenti per arrivare a rendere le life sciences un volano per la crescita.

L’Italia sta vivendo un momento complesso da vari punti di vista: la popolazione è sempre più vecchia, si fanno meno figli e c’è scarsità di forza lavoro, il che mina la produttività del Paese. Contestualmente, crescono povertà e disuguaglianze sociali.

Anche la sanità vive anni difficili: se da una parte l’aumento delle malattie croniche non trasmissibili porta a un costante aumento di richieste da parte della cittadinanza, dall’altra c’è scarsità di risorse umane ed economiche… e al tutto va unito il fenomeno dell’antibiotico resistenza, che rischia di far tornare in auge le patologie infettive.

Il risultato è un Paese sempre più longevo, è vero, ma al tempo stesso sempre più malato, come dimostra l’indice anni vissuti in cattiva salute, passato dagli 11 del 2004 ai 16 del 2023. Anni che richiedono il supporto di terapie farmacologiche e visite specialistiche, se non addirittura di ricoveri. Un altro dato interessante riguarda i DALY, arrivati a 19,5 milioni, per il 40% riguardanti popolazione in età lavorativa.

Quanto fin qui descritto impatta notevolmente sul Sistema Paese nel suo complesso e sulla sua produttività. Per affrontare una situazione così complessa occorre una strategia altrettanto ricca e complessa.

Il nuovo Rapporto Meridiano Sanità, giunto alla XIX edizione, propone una serie di azioni concrete da mettere in campo per migliorare lo stato di salute della cittadinanza, ridurre l’impatto sul SSN e aumentare la produttività del Paese. Si tratta di una strategia in 10 punti, divisi su tre aree di intervento.

Migliorare la prevenzione per un invecchiamento attivo

La prima area di intervento riguarda la prevenzione, sia primaria che secondaria, vista come strumento per ridurre l’impatto delle patologie non trasmissibili. La strategia prevede da una parte di incentivare la promozione della prevenzione ai cittadini, perché comprendano l’importanza di acquisire abitudini di vita sane e di sottoporsi agli screening, nazionali e non.

Si chiede anche una estensione degli screening a più malattie e un miglioramento delle campagne vaccinali. Si tratta di un obiettivo che può essere raggiunto solo con un finanziamento adeguato: si propone quindi di destinare alla prevenzione non più il 5%, ma il 7% del Fondo Sanitario Nazionale.

Contestualmente, si pone l’obbligo per le Regioni di destinare almeno il 50% di tale finanziamento alla comunicazione alla cittadinanza. Previsto il coinvolgimento di tutti gli attori possibili, dal medico di medicina generale agli ambienti scolastici e lavorativi. L’intento è di incidere positivamente sulla cultura sanitaria della popolazione per rendere i cittadini stessi attori primari della propria salute.

Da ultimo, si chiede che vengano definiti nuovi indicatori per monitorare l’andamento del settore prevenzione nel Nuovo Sistema di Garanzia (NSG) e nuovi standard organizzativi e di personale per la sanità territoriale, come già avvenuto con quella ospedaliera. Migliorando la prevenzione si prevede un risparmio di circa 544 miliardi di euro in 10 anni.

Riorganizzare il SSN

La seconda area presa in considerazione dal Repporto riguarda l’organizzazione, la governance e le risorse del SSN, con l’obiettivo di rinforzarlo e renderlo più fluido ed efficace.

Il primo passo in questa direzione è senza dubbio continuare ad aumentare il finanziamento destinato annualmente al SSN, seguito a breve giro dalla verifica che le risorse a disposizione vengano davvero impiegate negli ambiti definiti. Non manca il suggerimento a studiare e sperimentare nuovi metodi di finanziamento pubblico/privato. Viene inoltre richiesto che il sistema dei LEA e del NSG vengano rinnovati annualmente, per seguire i cambi di esigenze di salute della popolazione e le nuove evidenze scientifiche.

Nel tempo è inoltre necessario superare la distinzione tra indicatori CORE e non-CORE così da rendere la visione del sistema più completa. Fa parte di quest’area di intervento anche il personale sanitario, che sia ospedaliero o distrettuale: da una parte bisogna estendere la presenza di data manager e infermieri ricercatori nelle strutture ospedaliere e, dall’altra, colmare i divari di stipendio ora esistenti, magari introducendo incentivi e sgravi per alcune specialità mediche.

L’optimum sarebbe formare personale capace di operare tanto a livello clinico quanto di ricerca, meglio se con conoscenza dei big data e dell’intelligenza artificiale. Da ultimo, bisogna snellire i processi per l’accesso dei pazienti ai farmaci innovativi, il che richiede anche l’intervento di Aifa.

Rendere più attrattivo il nostro Paese

Gli ultimi punti della strategia riguardano un cambio di visione e il passaggio a quella che gli esperti che hanno elaborato il Rapporto chiamano “health for all policies”: un sistema in cui scuola, istruzione, lavoro e trasporti collaborano in sinergia per generare nel medio-lungo periodo co-benefici non solo in ambito salute, ma anche in quello ambientale e sociale.

Si prevede una ripresa della produttività con riduzione della povertà e minor impatto ambientale. Ma non basta. In quest’ultima area deve intervenire anche la politica, con scelte a favore della famiglia e della natalità, e il mercato del lavoro che deve riuscire a essere più attrattivo: l’obiettivo è che arrivi nel nostro Paese forza lavoro preparata e che i cervelli fuggiti trovino una ragione per rientrare.

Maggiore forza lavoro e produttività sono importanti, ma lo è anche scegliere un settore di sviluppo che sia altamente remunerativo: le life sciences lo sono. Lo dimostrano i numeri: il settore farmaceutico, per esempio, ha un valore aggiunto per addetto e investimenti in produzione per addetto doppi rispetto alla manifattura e investimenti in R&S per addetto pari a 8 volte quello manifatturiero.

Perché l’Italia possa diventare un hub di produzione e ricerca competitivo nel contesto internazionale serve un Piano Nazionale delle Life Sciences che integri le politiche industriali con quelle comunitarie e sanitarie del Paese. E poi, certo, occorre creare un humus favorevole agli investitori esteri, ovvero un framework regolatorio fatto di incentivi e investimenti stabili e di premialità ben definita.

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