Ebola, c’è un protocollo per la sicurezza ma non per il trattamento

Arrivo del paziente nel reparto del SaccoMercoledì 12 novembre è arrivato all’Ospedale Luigi Sacco di Milano un paziente affetto da virus Ebola. Si è trattato solo di una esercitazione, che ha tuttavia permesso di simulare un evento possibile e delicato, verificando il funzionamento del protocollo di presa in carico, nella massima sicurezza, di un paziente estremamente contagioso. La complessa esercitazione, che ha visto la collaborazione delle istituzioni che governano il Paese e la Regione Lombardia con l’Aeronautica Militare, è perfettamente riuscita e ha permesso il trasporto del paziente, su Boeing 767, dall’aeroporto militare di Pratica di Mare a quello civile di Malpensa e poi, su ambulanza speciale con operatori scafandrati, al reparto di isolamento del Sacco. Ma se per la sicurezza si sono seguite linee guida condivise con altri Paesi, riguardo al trattamento del paziente un protocollo internazionale non esiste ancora. Giuliano Rizzaldini, responsabile della Prima Divisione di Malattie Infettive presso l’ospedale milanese, spiega che «si sta concordando con l’Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, l’altro centro previsto in Italia per l’eventuale ricovero di pazienti colpiti da Ebola, un protocollo di supporto per i pazienti più gravi. Ma riguardo al trattamento ogni malato è un po’ diverso dall’altro. Si tratta di vedere quanti liquidi perde il singolo paziente, quanto sanguina… il supporto è diverso da caso a caso, ma si sta cercando di standardizzare un pochino queste possibilità». Una terapia efficace contro il virus non è ancora stata scoperta; «bisogna recuperare i danni che il virus produce, integrare i liquidi, dare al paziente sali e la possibilità di alimentarsi durante la fase più acuta. Quanto ai farmaci, sono in corso delle sperimentazioni, ma abbiamo solo casi aneddotici; si è parlato per esempio del cocktail di tre anticorpi diversi sviluppato negli Stati Uniti, ma non si è mostrato sempre efficace. Ci sono sostanze che in vitro funzionano e da lì bisogna partire. E comunque una sperimentazione farmacologica ha bisogno di tempo».

Oreste Calatroni