Sono quasi tutte a esordio precoce le epilessie rare, il che significa che quasi sempre colpiscono lattanti o bambini, incidendo pesantemente sulla qualità della vita loro e della famiglia.
C’è quindi esigenza di individuare forme diagnostiche più rapide, per avviare subito le terapie disponibili, ma anche di trovare farmaci più efficaci, perché spesso queste epilessie sono anche farmaco-resistenti. Ma non basta. Le epilessie rare sono state al centro di una recente discussione in cui è emersa chiaramente l’esigenza di modificare il retaggio storico-culturale legato a queste malattie.
Spiega Oriano Mecarelli, past president LICE – Lega Italiana contro l’Epilessia, professore all’Università di Roma La Sapienza presso il Dipartimento di Neuroscienze Umane: «di per sé l’epilessia è una patologia scarsamente attenzionata dai mezzi di comunicazione e con un retaggio storico sfavorevole, che nei secoli ha permesso di consolidare un profilo di patologia stigmatizzante.
Le epilessie rare fanno parte dell’epilessia in senso generale e quindi se vogliamo favorirne la conoscenza, al pari delle altre malattie rare, occorre stimolare la consapevolezza e la conoscenza tra la popolazione generale riguardo questa importante patologia neurologica cronica, ad alto impatto sociale».
Un compito che spetta al medico, al pediatra, agli specialisti e, certo, anche ai mezzi di comunicazione. E ai decisori politico, ovviamente. I PDTA sviluppati per questi pazienti non possono e non devono, infatti, esaurirsi alla diagnosi e definizione di una terapia farmacologica occorre una visione più olistica, come sottolineato da Katia Santoro, presidente dell’Associazione Famiglie LGS Italia e rappresentante dell’Alleanza Epilessie.
Per questo l’Associazione LGS con l’Alleanza Epilessie rare e complesse, sta lavorando per evidenziare i punti che non possono mancare in un programma assistenziale per questi pazienti: essere seguiti da un team multispecialistico, equiparato a quello della neuropsichiatria infantile, che comprenda a seconda delle esigenze del piccolo paziente anche il fisioterapista, il terapista del linguaggio, il genetista, il pediatra e gli operatori dell’assistenza territoriale; avere un PDTA che punto molto sull’assistenza territoriale, perché le famiglie non si debbano sentire sole e possano avere anche un supporto psicologico, quando necessario.
Portare la questione delle epilessie rare alla ribalta è importante anche per attirare finanziamenti per continuare nella ricerca di base, alla scoperta dei meccanismi che portano alla malattia, e in quella farmacologica poi.
Spiega Nicola Specchio, responsabile di Neurologia Clinica e Sperimentale e Ambulatorio Epilessie Rare e Complesse dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: «l’idea è cercare di comprendere i meccanismi neurobiologici alla base delle epilessie rare, non solo capire il gene responsabile, ma anche qual è la funzione del gene, perché avere una comprensione migliore del meccanismo neurofisiopatologico ci consente di ipotizzare una terapia disegnata per modificare le cause delle epilessie, che sia realmente in grado di modificare il processo neurobiologico responsabile dell’epilessia e dei disturbi associati a queste patologie», che contano disturbi dello spettro autistico, dell’attenzione, disabilità cognitiva e disturbi del comportamento.
Si potrebbe, inoltre, puntare, nel tempo, a sviluppare «strategie terapeutiche che in futuro di rimodellare il patrimonio genetico correggendo la mutazione responsabile dell’insorgenza della specifica forma di epilessia rara. Quindi una terapia personalizzata e di precisione, che agisca in senso antiepilettogenico, e non soltanto come trattamento sintomatico», conclude il prof. Mecarelli.
Un obiettivo che richiede fondi per supportare la ricerca, come si diceva. Il must, quindi, è di aumentare la conoscenza sull’epilessia, cercando in primis di eliminare quel retaggio storico che ancora la caratterizza.