Una nuova frontiera nello studio e nella prevenzione delle infezioni ospedaliere, fenomeno che ogni anno interessa circa il 5% dei pazienti ospedalizzati (tra 450.000 e 700.000 soggetti), spesso con esiti anche gravi, e si stima costi al Ssn centinaia di milioni di euro (con l’onere maggiore rappresentato dal prolungamento della degenza, il 7,5-10% delle giornate di ricovero è imputabile all’insorgenza di una complicanza infettiva) è quella delle infezioni da protesi cardiovascolari, in particolare delle procedure di sostituzione delle valvole cardiache con nuove protesi meccaniche, dell’inserimento di stent coronarici e dell’impianto di defibrillatori e stimolatori cardiaci. L’insieme di questi interventi raggiunge in Italia la ragguardevole cifra di quasi 80.000 procedure, di cui 42.300 interventi in circolazione extracorporea (23mila per sostituzione valvolare) e l’impianto di 62mila pacemaker e 24.000 defibrillatori impiantabili. In Italia si impiantano ogni anno circa 90mila protesi ortopediche d’anca e 63.000 di ginocchio (in numero minore i casi di protesi di gomito); il costo complessivo (intervento, protesi, ospedalizzazione, follow up ecc.) è calcolato, per ogni paziente, in 22.000 euro. L’intrinseca natura di questi interventi, che spesso sottopone i pazienti a interventi fortemente invasivi (con i molti casi il ricorso alla circolazione extracorporea e l’apertura toracica), costituisce una frequente causa di insorgenza fin dalla prima settimana dall’intervento di infezioni che si annidano sulla superficie dei dispositivi impiantati. Occorre quindi sviluppare una maggiore sensibilità nelle strutture cliniche sia per prevenire possibili infezioni durante la fase chirurgica sia per mettere a punto protocolli d’indagine efficaci e tempestivi. È quanto emerso a Rimini durante l’ultimo congresso nazionale dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani, in occasione di un incontro sulle infezioni da protesi vascolari. L’incontro è stato occasione per fare il punto su questa tipologia di infezioni. Le infezioni da protesi cardiaca costituiscono il 30% del dato complessivo italiano di infezioni riconducibili a protesi, dietro l’ortopedia, settore di maggiore esposizione (oltre il 70%). L’incidenza delle infezioni correlate all’uso di dispositivi elettronici impiantabili cardiaci (pacemaker, valvole, stent coronarici) è circa il 5% e i microorganismi responsabili sono lo stafilococco aureo (25%), stafilococchi coagulasi negativi ( 60% ), bacilli gram-negativi, lieviti, proprionibacterium acnes (15%). Per contro, l’incidenza delle infezioni delle protesi ortopediche è in media 1,8% e gli agenti etiologici responsabili di tali infezioni sono stafilococco aureo, stafilococco coaguolasi negativi, bacilli gram-negativi ed enterococchi. Il costo di ogni infezione, considerando sia i costi diretti (revisione chirurgica, terapia, degenza) sia gli indiretti (spese sociali coma assenza lavoro e riabilitazione) è stimato intorno a 50.000 euro. Motivo per il quale – anche ai fini di una maggiore sostenibilità della spesa sanitaria – prevenire o intervenire su queste infezioni con la massima celerità ed efficacia si traduce in un minor costo per il sistema sanitario nazionale. L’incontro di Rimini è stata anche l’occasione per presentare un recente studio sulla microbiologia delle endocarditi su dispositivi elettronici impiantabili: dieci anni di esperienza, realizzato presso il reparto di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedaliera dei Colli Monaldi-Cotugno-Cto di Napoli. Lo studio, coordinato dal direttore del reparto, Riccardo Smeraglia, ha indagato le infezioni dei Dispositivi Elettronici Impiantabili Cardiaci (Cied). Negli ultimi dieci anni la prevalenza dell’endocardite su Cied è passata da meno del 5% a oltre il 30% dei casi. L’obiettivo dello studio era valutare l’epidemiologia microbica delle endocarditi su Cied presso il centro, durante il periodo 2003-2013. Queste infezioni sono una condizione clinica emergente, in ragione dell’espansione delle indicazioni terapeutiche all’impianto di Cied e dell’elevata età media dei pazienti, spesso caratterizzati da più comorbilità. Molto importante, nello sviluppo di queste infezioni, il ruolo del biofilm, vale a dire un aggregato di cellule microbiche associate tenacemente a una superficie e incluse in una matrice polimerica extracellulare da esso prodotte. Può essere composto da una popolazione sviluppatasi da una singola specie o da una comunità costituita da varie specie microbiche che possono provenire da diverse superfici biotiche e abiotiche. Per la diagnosi microbiologica di endocardite su Cied i pazienti sono stati sottoposti a emocolture, a coltura della tasca di alloggiamento del device, quando infetta, e a coltura del Cied espiantato. Su un totale di 104 pazienti con diagnosi clinica di endocardite su Cied, nel 73% dei casi sono state riscontrate emocolture positive. La coltura del Cied espiantato è risultata positiva nel 80% dei pazienti sottoposti a estrazione. Il 75% dei pazienti con emocolture negative presentava comunque coltura del device positiva. Solo nel 7% dei pazienti tutte le colture sono risultate negative. Il principale microrganismo isolato è stato lo Stafilococco epidermidis (32%), seguito da altri stafilococchi coagulasi negativa (34%) e dallo Stafilococco aureo (23%). Bassa la percentuale di isolamento di bacilli gram negativi (4%), streptococchi (3%), Candida spp. (2%) e Propionibacterium acnes (2%). Per fronteggiare questa crescente diffusione di infezioni, un concreto aiuto può venire dai continui progressi tecnologici, soprattutto nella scienza dei materiali utilizzati per il coating dei device, e da procedure di impianto, nel limite del possibile, sempre meno invasive e nella massima sterilità; infine, da una maggiore sensibilità e preparazione nell’affrontare l’esame batteriologico nel caso si sviluppino i primi segnali dell’infezione.