In Italia sono circa quattro milioni le persone che convivono con una malattia renale cronica, ma il dato potrebbe essere sottostimato, dato che le prime fasi di malattia sono sempre silenti perché la perdita della funzionalità renale è graduale.
L’incidenza a livello mondiale è oggi stimata al 10%, ma potrebbe crescere ulteriormente, come sottolineato dalla letteratura internazionale. Il fatto è che oggi esistono terapie capaci di rallentare la progressione del danno renale, garantendo una vita di qualità ai pazienti, ma per poterle applicare occorre prima individuare che ne ha bisogno.
Da qui l’idea di Loreto Gesualdo, presidente della Federazione Società Medico-Scientifiche Italiane e professore ordinario di Nefrologia all’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, di avviare un progetto di screening della patologia renale cronica tra i lavoratori della AOU Consorziale Policlinico di Bari, per un totale di 8867 persone.
Iniziato nel 2021, il progetto si è concluso nel 2024 e ha permesso di individuare oltre 700 soggetti con patologia renale cronica non nota, pari a circa il 7% del campione. Il lavoro ha inoltre permesso di individuare due indici di malattia precoce, l’eGFR e l’ACR, il cui dosaggio potrebbe essere inserito nei normali controlli della salute. Hanno collaborato a questo progetto anche la Società Italiana di Medicina del Lavoro e la Società Italiana di Nefrologia.
Il futuro del progetto
Le linee guida internazionali sottolineano l’importanza di attuare piani di screening per individuare precocemente la malattia renale cronica, caratterizzata da un alto impatto personale e anche sociosanitario. Se non curata adeguatamente, infatti, la patologia evolve fino all’insufficienza renale, rendendo necessaria la dialisi, se non addirittura il trapianto. Per queste ragioni, il prossimo passo del progetto prevede l’estensione dello screening in altre 20 aziende pubbliche del SSN.
Spiega Gesualdi: “l’implementazione di questo progetto, nell’ambito della diagnosi precoce e del monitoraggio di malattie renali misconosciute, assume importanti risvolti anche dal punto di vista terapeutico e prognostico, consentendo di intervenire tempestivamente con azioni correttive mirate, come terapia medica e/o modifica degli stili di vita e delle abitudini alimentari, nell’ottica di migliorare la qualità della vita dei pazienti e di ridurre il carico di tali patologie sul SSN”.
Il passo successivo potrebbe essere, ed è auspicabile, estendere lo screening anche in realtà lavorative private.
Quali esigenze per estendere lo screening nel privato?
Per poter estendere uno screening anche alle aziende private è necessario tenere conto di alcuni dettagli che devono essere ben calcolati: il costo a carico del datore di lavoro, per esempio, ma anche l’adesione dei lavoratori e il coinvolgimento degli specialisti e dei medici di medicina genrale, che devono farsi carico degli eventuali approfondimenti diagnostici da effettuare a seguito di screening positivo.
Si tratta di una scelta politica e, come sottolineato dal sen. Ignazio Zullo, membro della X Commissione permanente Affari Sociali, Sanità, Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, Senato della Repubblica: “è un impegno di forte rilevanza ma è un impegno anche della politica che deve collaborare nel saper mettere intorno ad un tavolo parti datoriali e sindacali, medici competenti con la loro rappresentanza, medici di medicina generale e società scientifiche”.