La pandemia ha catalizzato e sta ancora catalizzando buona parte delle energie e dell’attenzione del sistema sanitario nazionale. La prima fase dell’emergenza e il conseguente lockdown generalizzato, ha avuto ripercussioni inevitabili sulla gestione dei pazienti con altre patologie e sulle mancate diagnosi di malattie anche gravi come il cancro, con conseguenze ancora difficili da stimare in termini di impatto di medio-lungo periodo.
Dopo una tregua estiva che sembrava aver riportato la vita alla sua normalità, il sistema sanitario dalla fine di settembre si è trovato a fronteggiare una seconda ondata determinata dalla recrudescenza del Covid-19. Tuttavia, rispetto alla fase iniziale, grazie alle maggiori conoscenze, a migliori strumenti e a una più efficiente organizzazione, questa seconda fase è stata e continua ad essere gestita con un minore stress delle strutture ospedaliere, delle terapie intensive e sub intensive.

In questo contesto di crisi e di mobilitazione straordinaria di energie è tuttavia importante avere una strategia e un piano per ricostruire e innovare la sanità su basi nuove per garantirle maggiore resilienza, flessibilità e rispondenza ai bisogni attuali e futuri di prevenzione, cura e assistenza. Tuttavia, la situazione, i piani e l’emergenza stessa si presentano in maniera diversa da Regione a Regione.

È così che lo scorso 9 dicembre, il webinar dal titolo “Il presente e il futuro della Sanità nel Lazio”, moderato da Giulio Notturni, Consulente della Comunicazione presso l’Assessorato alla Sanità e all’Integrazione Socio Sanitaria della Regione Lazio, ha inteso mettere a fuoco la situazione nella Regione Lazio con la prospettiva di individuare possibili progetti su cui far convergere sistema pubblico e privato, attraverso un’analisi dettagliata dei modelli organizzativi di presa in carico dei pazienti durante la seconda ondata pandemica da Covid-19. Più nello specifico sono stati discussi i modelli di presa in carico dei pazienti cronici, con particolare attenzione a quelli onco-ematologici; il ruolo di telemedicina e digitalizzazione nella gestione della crisi e nella presa in carico dei pazienti cronici; i progetti di cambiamento messi in campo nella Regione Lazio; il ruolo delle partnership tra strutture pubbliche e private.

Il modello Lazio, tra ospedale e territorio

Americo Cicchetti, Professore ordinario di Organizzazione Aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore di ALTEMS, ha introdotto la tavola rotonda, ricordando che la spesa sanitaria nell’ultimo decennio non ha sperimentato alcuna crescita o è cresciuta a tassi estremamente limitati. La prima fase del Covid-19 ha quindi avuto un impatto molto forte sulla sanità, a livello nazionale e locale. Dal 31 marzo, Altems ha prodotto diversi instant report al fine di fotografare la pandemia attraverso una serie di indicatori e un’analisi di impatto che mostrasse la situazione e le capacità di reagire messe in campo a livello regionale. Con il trascorrere delle settimane è emerso in modo evidente come in Italia si fossero delineati 3 modelli regionali: il primo concentrato esclusivamente sulla presa in carico a livello di struttura ospedaliera; il secondo concentrato sulla medicina territoriale e il terzo, infine, frutto di un mix tra ospedale e territorio. Dopo una prima fase in cui è stata necessaria una vera e propria ‘corsa agli armamenti’, il Lazio ha mostrato sempre più una gestione basata sulla compresenza di ospedale e territorio.

Su cosa puntare per il futuro: i 5 pilastri

Come è stato possibile comprendere, i tre modelli hanno determinato diversi risultati in termini di impatto, contagio e mortalità.
«Il Covid ci ha insegnato in modo chiaro che le pandemie si combattono sul territorio e presso il domicilio del paziente; che la regionalizzazione è certamente un elemento positivo di autonomia, ma che in fasi di emergenza come quella sperimentata è necessario avere decisioni centralizzate; che la telemedicina e la digitalizzazione rappresentano degli asset fondamentali; che il ruolo del medico di famiglia deve essere definito in modo più accurato; che i dati rappresentano un patrimonio inestimabile anche per la programmazione e la ricerca e che, infine, la qualità del management può fare la differenza, anche a fronte di risorse sempre troppo esigue», ha ribadito Cicchetti. Basti in tal senso pensare che il fondo 2020 per la spesa sanitaria è stato inferiore a quello del 2019 e purtroppo non si profila all’orizzonte un incremento budgettario come pure ci si attendeva. Finora la pandemia ha apportato alla sanità 5,5 miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi destinati al personale medico e infermieristico.
I fondi al comparto sanitario restano tuttavia minoritari rispetto a quanto destinato ad altri settori. Servono nuove risorse, e anche i 9 miliardi del recovery fund sembrano essere troppo esigui.

«Questa pandemia ha chiaramente messo in luce i punti di forza, ma anche quelli di debolezza, del nostro sistema sanitario nazionale. Per il futuro è necessario puntare su 5 pilastri fondamentali: la governance; i sistemi di finanziamento (con particolare attenzione al rapporto Stato-Regioni); la forza lavoro (contrastare l’invecchiamento; puntare alle nuove assunzioni e alla loro stabilizzazione, investire sul comparto manageriale); digitale e telemedicina; una più efficace gestione operativa, una maggiore integrazione tra ospedale e territorio, una definizione più chiara del ruolo del medico di famiglia, e l’importanza del lavoro di squadra, ancora più necessario per una sanità territoriale», ha sostenuto ancora Cicchetti.

Il ruolo del management per gestire l’emergenza

«Il Covid ha rappresentato un’esperienza manageriale straordinaria», ha sostenuto Francesco Ripa di Meana, presidente FIASO e direttore generale degli IFO Regina Elena e San Gallicano. «Sono emersi modelli regionali diversi. L’emergenza ha inoltre favorito la formazione di holding, un board di direttori generali che ha modificato le relazioni esistenti non solo tra azienda e azienda ma anche tra aziende e regione. Il Covid ha inoltre permesso di affrontare in modo diverso la rete per far diventare il sistema regionale un modello di innovazione».

La complessità ha quindi stimolato l’attivazione di modelli differenti e innovativi, di costruzione di reti ospedaliere. Tutto questo ha permesso la messa in campo di un patrimonio di progetti innovativi che ha coinvolto anche la sanità privata, che ha partecipato attivamente all’organizzazione e alla logistica.
«Il tutto», ha ribadito Ripa di Meana, «è stato possibile nel Lazio perché da anni si lavora sull’importanza del management, è stata creata una efficace rete di alleanze anche con i professionisti, che ha rappresentato il vero fiore all’occhiello del sistema».
In questa seconda ondata si sta lavorando alla costruzione di una ‘riserva strategica’ da poter attivare per future emergenze. Per quanto concerne i pazienti onco-ematologici, sono stati tenuti quanto più possibile fuori dal Covid.
«Gli Irccs che io dirigo non hanno mai diminuito il volume di attività elettiva. Quello che è accaduto è stato piuttosto riscontrare una eccessiva paura nei pazienti che hanno preferito non recarsi in struttura».

Il sistema si è tuttavia dotato di accessi regolamentati proprio per fare dell’ospedale una struttura quanto più possibile sicura. Certamente la crisi degli screening oncologici è preoccupante e purtroppo i suoi effetti si vedranno nel medio periodo.
La telemedicina è stata un grande supporto in questa fase, basti pensare che per tutti quei pazienti che avevano paura di recarsi in struttura sono stati attivati circa 7mila percorsi a distanza. La Regione Lazio inoltre, proprio al fine di una maggiore chiarezza, è stata tra le prime a normare la telemedicina.
«Ancora oggi talvolta abbiamo difficoltà di interazione tra macchine nella gestione di analisi, referti e documenti, tuttavia la telemedicina rappresenta un passo avanti importantissimo verso ospedali meno chiusi su sé stessi e più aperti al territorio», ha sottolineato Ripa di Meana.

Le difficoltà e lo scarso appeal delle aree interne

Pierpaola D’Alessandro, direttore generale dell’Asl di Frosinone, ha lamentato la carenza di personale nell’azienda sanitaria da lei diretta, determinata in buona parte dalla posizione interna di scarso appeal. Tuttavia, nell’Asl di Frosinone – che si compone di 4 strutture ospedaliere – ha trovato un’azienda piena di voglia di reagire, anche grazie agli strumenti che la Regione ha messo a disposizione.
«La gestione del Pronto Soccorso è stata particolarmente difficile, tuttavia il Covid ha aperto una finestra di opportunità consentendo l’introduzione di flessibilità organizzativa che in assenza di emergenza sarebbe stato difficile proporre».
Resta tuttavia un grosso problema determinato dalla posizione sfavorevole dell’azienda, che presenta tutte le caratteristiche della provincia e di un territorio interno, con carenza di personale e incapacità di attrazione.

Il ruolo chiave di flessibilità e tecnologie

Lorella Lombardozzi, dirigente dell’Area Politica del Farmaco della Regione Lazio, ha ricordato l’importanza del corretto utilizzo delle tecnologie, unitamente a un cambio di paradigma organizzativo.
«Ci siamo trovati di fronte a una situazione nuova e imprevista: da una parte avevamo pazienti spaventati che avevano paura di accedere alle strutture; dall’altra pazienti con difficoltà di accedervi, perché in cura presso altri centri di altre Regioni», ha ricordato.
Tutto questo si è tradotto in breve nel rischio di una minore aderenza alle terapie. Per scongiurare questo rischio e rispondere al meglio all’emergenza, sono stati messi in campo diversi modelli: sono stati accolti pazienti in cura presso altre strutture di altre regioni aprendo un tavolo di confronto tra i nostri professionisti con i clinici “di partenza”; sono stati strutturati percorsi con consegna di alcuni farmaci al domicilio del paziente; laddove era necessario somministrare farmaci in ambiente protetto o seguire il percorso più da vicino sono stati messi in campo strumenti di monitoraggio a distanza; sono stati attivati percorsi coordinati con il medico di famiglia, si è proceduto al rinnovo automatico dei piani terapeutici, è stato creato un call center di supporto.
«È stata davvero messa in campo una continuità tra ospedale e territorio, fondamentale per il paziente curato a casa, che si è sentito assistito e non tagliato fuori dal percorso di cura», ha sottolineato.

L’attivismo delle associazioni durante l’emergenza

Teresa Petrangolini, direttore Patient Advocacy Lab di ALTEMS, Università Cattolica, si è soffermata sul ruolo e l’attivismo delle associazioni dei pazienti durante la pandemia. Le associazioni censite anche da un report Altems, ben 45, hanno mostrato tutte notevole attivismo e grande capacità di adattamento alle metodiche imposte dal Covid-19. Inoltre, le associazioni hanno mostrato capacità di produrre priorità per il futuro, mettendo in luce due questioni: i problemi riscontrati per i malati rari, cronici e oncologici; la consapevolezza che l’unica chance per restare al fianco del cittadino passi per l’innovazione. «Da parte delle associazioni (74 partecipano attivamente al processo partecipativo della Regione Lazio) le principali richieste sono state due, medicina territoriale e telemedicina».

Sabrina Nardi, responsabile Associazione Italiana contro le Leucemie) ha ricordato che nella prima fase della pandemia i bisogni primari dei pazienti sono stati riconducibili a una corretta informazione e a un buon orientamento, unitamente a bisogni di carattere assistenziale: raggiungibilità dei servizi e centralità del caregiver.
L’AIL ha provveduto a fornire informazioni attraverso il sito web, attraverso il numero verde, esortando a proseguire le cure, producendo webinar informativi volti a fornire informazioni, «Occorre non ritardare le cure, lavorare sui tempi di permanenza nelle strutture e implementare l’uso del fascicolo sanitario elettronico per rispondere alle esigenze di semplificazione», ha ribadito Nardi.

La questione RSA

Marinella D’Innocenzo, direttore generale dell’ASL di Rieti, ha ricordato come la pandemia abbia avuto il ruolo di acceleratore di processi e percorsi, producendo, nel giro di poche settimane, un cambiamento senza ritorno.
È stata ricordata l’importanza del territorio per rispondere alle esigenze dei pazienti cronici e fragili.
«L’ospedale dovrebbe diventare soltanto un luogo per l’acuzie, mentre tutto il resto dovrebbe concretizzarsi con una struttura efficace di cura a livello territoriale e domiciliare», ha ribadito. Proprio in quest’ottica la Regione Lazio ha puntato sull’apertura dei drive-in in una fase molto complessa dell’emergenza, cercando di gestire quanto più possibile i pazienti presso il proprio domicilio. I problemi più gravi, anche in termini psicologici, sono stati per i pazienti anziani e pluripatologici: basti pensare che nelle settimane di lockdown le chiamate al counseling sociale e psicologico della Regione sono triplicate.
In tal senso, tra le priorità future spicca una diversa organizzazione dell’assistenza e cura degli anziani, dato che le RSA hanno mostrato tutte le loro debolezze.
«Occorre pensare a un modello diverso, che lasci l’anziano nella sua casa, tra le sue cose e i suoi affetti, lavorando sull’utilizzo di domotica e strumenti di monitoraggio a distanza», ha ribadito D’Innocenzo, che ha aggiunto: «gli anziani vanno considerati come persone e non come pazienti».
In conclusione, ha sostenuto Cicchetti, «appare cruciale fare tesoro dell’esperienza del Covid, impedendo che questa possa passare senza lasciare traccia. Occorre in tal senso capire cosa è stato fatto e cosa occorre mettere in campo per il futuro, puntando sulle competenze, sull’uso delle tecnologie e più in generale dell’innovazione e sperando che le risorse arrivino».

Elena D’Alessandri