Necessario puntare su un sistema a step che sia in grado di accogliere il parto fisiologico così come quello complesso.
Il numero di parti annui effettuati da un punto nascita è uno dei parametri presi in considerazione dal Programma Nazionale Esiti (PNE) che, seguendo le linee guida internazionali e le indicazioni del DM 70 del 2015, definisce il best standard in 1000 parti l’anno, accettando però anche i 500 parti l’anno. Riportiamo quindi i dati contenuti al riguardo nell’edizione 2022: su 442 punti nascita attivi nel 2021, solo 142 hanno superato la soglia dei 1000 parti l’anno, 137 quella accettabile dei 550 parti l’anno e i restanti 163 sono invece sottosoglia.
Una situazione che mette a rischio la sicurezza di neomamme e neonati.
Il giusto volume di attività consente, infatti, al centro nascita di essere dotato delle ultime tecnologie utili al parto e alle équipe di essere pronte ad affrontare eventi avversi o inaspettati.
Per questo, la Società Italiana di Neonatologia chiede che vi sia una riorganizzazione dei punti nascita, che tenga anche conto della denatalità che contraddistingue il nostro Paese, come tutti quelli occidentali e non solo.
Ancora troppi punti nascita e TIN di piccole dimensioni
Conferma il presidente della SIN, Luigi Orfeo: nel 2022 erano «395, secondo l’ultimo rapporto CeDAP, i Punti Nascita nel nostro Paese, di cui ben 96 con meno di 500 nati/anno, con circa 29.000 nascite, e soltanto 137 con oltre 1.000 nati/anno, con circa 240.000 parti. Troppi, e molti troppo piccoli».
Fortunatamente, prosegue il dottor Orfeo, «le donne fanno oggi scelte più consapevoli, optando per ospedali che garantiscono sicurezza e qualità: oltre il 62% dei parti avviene nei Punti Nascita con oltre 1.000 nati/anno», ma non ci si può certo affidare al buonsenso dei cittadini. Secondo la SIN, è imprescindibile che competenze cliniche e tecnologiche vadano di pari passo con quelle organizzative. Ciò vale anche per le Terapie Intensive Neonatali (TIN), chiamate a rispondere alle patologie neonatali più complesse e disparate, oltre che alla cura dei neonati pretermine, il cui numero sta crescendo nel tempo.
Sottolinea Orfeo: «oggi in Italia ci sono circa 120 TIN, molte troppo piccole, molte con basso tasso di utilizzo e complessivamente un eccesso di almeno il 20% delle TIN, se ci rapportiamo al numero dei nati che, come oramai tutti sappiamo, continua a ridursi drasticamente di anno in anno. Abbiamo chiuso il 2022 con 393.997 nati, per la prima volta dall’unità d’Italia sotto la soglia dei 400.000 (CeDAP 2022) e le proiezioni per il 2023 non sono incoraggianti. Se a questo aggiungiamo la carenza drammatica di pediatri, neonatologi e infermieri, ci rendiamo conto ancora di più di quanto sia di prioritaria urgenza una riorganizzazione della rete dei punti nascita nel nostro Paese».
Riorganizzare significa anche ridistribuire
Secondo la SIN c’è poi un secondo ordine di problema, non meno pressante del precedente: in Italia ci sono aree del Paese con un surplus di punti nascita e altre che ne sono carenti. Secondo la Società Scientifica occorre modificare le modalità di valutazione delle esigenze di un dato territorio in termini di punti nascita, considerando non solo le caratteristiche geografiche, ma anche sociali.
Per questo, si chiede che la programmazione preveda una collaborazione tra istituzioni e neonatologi: i primi devono dettare le regole organizzative generali e controllarne l’applicazione, mentre i secondi definire modelli organizzativi specifichi, così da ottimizzare le risorse e l’efficacia dell’intervento, offrendo anche alle istituzioni documenti importanti, come gli Standard Organizzativi per l’Assistenza Perinatale della SIN.
Parlando di riorganizzazione, vanno tenuti in considerazione aspetti come la densità di popolazione e la distanza-tempo di un territorio da un punto nascita, ma occorre anche offrire soluzioni a diverso step di assistenza, partendo da punti nascita con consultori per i parti fisiologici, passando a punti nascita con neonatologia per arrivare a punti nascita con TIN.