Rapporto Aiop Ospedali&Salute: italiani, popolo in attesa

«40 anni fa il nostro Paese compiva una scelta di civiltà che tuttora rappresenta un bene di inestimabile valore, quello di istituire il Servizio Sanitario Nazionale», ha dichiarato in apertura alla presentazione del 16° Rapporto su Ospedali&Salute, tenutosi a Roma, la presidente dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata – AIOP, promotrice dell’iniziativa, Barbara Cittadini.

Barbara Cittadini, presidente nazionale AIOP

In questi quattro decenni molte realtà sono profondamente mutate: si è assistito a un incremento dell’invecchiamento della popolazione (+5,2% negli ultimi 20 anni) cui si sono accompagnati la crescita delle patologie croniche e una crisi economica che ha fortemente destabilizzato il Paese.

Il rapporto AIOP, per quanto promosso dall’associazione dell’ospedalità privata – che riunisce strutture accreditate con il SSN e cliniche private e arruola 12 mila medici, 26 mila infermieri e tecnici e oltre 32 mila operatori sociosanitari – offre una panoramica su tutto il sistema ospedaliero peninsulare, anche perché realizzato da un soggetto terzo, Ermeneia – Studi e Strategie di Sistema.

Il rapporto è nato nel 2003 con tre obiettivi, ha ribadito la presidente AIOP nel corso della presentazione: in primis portare avanti una doppia ottica di analisi, quella dedicata a cittadini e pazienti, target di riferimento del SSN e quella riservata alla “macchina ospedaliera” e alle necessità di una sua evoluzione e trasformazione; ribadire l’importanza della componente di diritto privato nell’ambito del sistema sanitario che garantisce al sistema il 28% delle giornate di degenza e il 27% delle prestazioni a fronte di un’incidenza sulla spesa ospedaliera pubblica del 13,5%; mettere a disposizione uno strumento che consentisse agli italiani di comprendere il proprio SSN.

Il nostro SSN emerge, ancora una volta, fatto di luci e ombre.
In primo luogo, da troppo tempo si registra un costante definanziamento rispetto all’impegno finanziario sul Prodotto Interno Lordo (che attualmente si attesta al 6,6%), rischiando di non poter garantire prestazioni universalistiche adeguate.

A ciò si aggiungono spesso scelte di politica sanitaria che non consentono investimenti in innovazione e tecnologie mettendo a repentaglio quei livelli di qualità che hanno da sempre caratterizzato il SSN italiano. E non si dimentichi il preoccupante logoramento dei servizi garantiti dal pubblico, ridotti nel numero e nella qualità, con conseguente rinuncia alle cure o a spostamenti extra-regionali.

Se il federalismo sanitario può essere letto come un elemento sfidante per il nostro Paese, occorre comunque ricordare che ci sono dei livelli minimi che andrebbero garantiti a tutte le latitudini, mentre spesso si assiste a una differenziazione dell’offerta troppo marcata tra Regione e Regione.

Tutto ciò premesso il rapporto di quest’anno ha fotografato, lato utenti, un’Italia in attesa: due sono gli elementi presi in considerazione, le liste di attesa e i pronti soccorso, tra loro strettamente interrelati.

«Il focus di questo rapporto sono infatti i cittadini», ha sostenuto Nadio Delai, presidente Ermeneia, nel presentare i principali risultati della ricerca 2018. «L’esperienza delle liste d’attesa e del pronto soccorso sono due esperienze sociali di massa, come emerso dallo studio. Sono 20 milioni gli italiani che nell’ultimo anno si sono messi in lista d’attesa, pari al 38,7% della popolazione: di questi, 16 milioni avevano bisogno di cure sul territorio, visite specialistiche e ambulatoriali e accertamenti diagnostici, mentre altri 4 milioni, pari all’8% della popolazione adulta, sono rimasti in attesa di un posto letto in ospedale».

Dati già di per se molto allarmanti – l’attesa media per il 58% dei richiedenti va dai 30 ai 120 giorni e dai 60 ai 120 giorni per il 36% – ancor più se si considera che le infinite attese costituiscono la ragione primaria di rinuncia alle cure, fenomeno che si attesta al 52% dei casi.

L’alternativa, battuta da oltre 15 milioni di italiani, è quella di recarsi in pronto soccorso pur di ricevere una risposta alle proprie esigenze. Non va meglio per quanto concerne le file nei pronto soccorso, ingolfati da queste folle oceaniche che lo scelgono come “piano B”.

Il primo elemento di malcontento è relativo al fatto che sia un impiegato a decidere la gravità del paziente, assegnandogli un codice di urgenza. Oltre il 20% di chi arriva in questo presidio di urgenza sperimenta oltre le 3 ore d’attesa, mentre il 7-8% va dalle 5 ore all’intera notte per una prima visita.

Per quanto concerne gli accertamenti la situazione è addirittura peggiore: il 40% rimane in fila da un minimo di 3 a un massimo di 10 ore.

Situazioni di sovraffollamento del genere, ha registrato il rapporto, mettono a rischio anche l’accesso ai bisogni essenziali dell’utenza, come lavarsi le mani o utilizzare il bagno.

«Quando i numeri sono così alti si mette in gioco la fiducia dei cittadini verso il SSN», ha proseguito Delai, «anche se il 77% della popolazione si dichiara soddisfatta del servizio».

«Un restyling è sicuramente necessario per le mutate condizioni», ha sostenuto Pier Paolo Sileri, presidente della Commissione Igiene e Sanità. «Si deve partire dalle carenze generalizzate, dall’edilizia sanitaria per cui alcuni ospedali versano in condizioni fatiscenti, ma ancora di più dal personale che costituisce la spina dorsale del sistema».

Quattro sono le priorità evidenziate da Sileri: il personale, cui va data la precedenza assoluta poiché oggi svolge il proprio lavoro in condizioni drammatiche, che si riassumono in un contratto fermo da dieci anni e in orari di lavoro insostenibili; l’investimento in tecnologie per migliorare sia il servizio che la sicurezza delle cure; un ragionamento sui livelli essenziali di assistenza, che è inutile aumentare se non li si dota di finanziamenti adeguati; un’assistenza sul territorio oggi largamente carente, su cui dovrà concentrarsi l’attività politica delle Regioni.

«Solo centrando questi obiettivi il SSN sarà reso “democratico”, cioè in grado di mantenere le promesse in tutto il Paese. Il SSN è uno e non è e non deve essere ragione di orgoglio o soddisfazione per una regione accogliere utenza proveniente da regioni più inefficienti. A coloro che sono costretti a muoversi dovrebbe essere offerta una soluzione vicino casa», ha proseguito Sileri che ha concluso affermando che «il SSN deve essere unico e democratico affinché ogni italiano che si reca in ospedale o pronto soccorso trovi un servizio adeguato. Finora le differenze sono state troppe ed è necessario ridurle a partire da un incremento del personale».

«La presenza in Italia di una grande rete di aziende ospedaliere di diritto privato costituisce un’opportunità rilevante, una riserva di operatività e di flessibilità a servizio di tutto il sistema. Come componente di diritto privato del SSN siamo disponibili a definire con il Ministero della Salute una strategia che rimoduli l’offerta sulle esigenze dei territori, sia per quantità che per tipologia di cure. Pronto Soccorso incluso. Ma la premessa è rivedere il vincolo dei tetti di spesa, che dal 2012 con la spending review ha congelato la quantità di prestazioni da noi erogabili», è stata la proposta di Barbara Cittadini, proponendo di fatto AIOP come soggetto attivo nella risoluzione di almeno alcune delle principali criticità.

Una possibile risposta, ai vincoli di spesa, potrebbe arrivare dal nuovo Patto per la salute che Governo e Regioni dovrebbero firmare entro la fine di marzo. E proprio sul Patto per la Salute si è espresso anche il sottosegretario Luca Coletto: «il Patto per la salute sarà un vestito nuovo che daremo alla sanità per riprogrammare, revisionare e ristrutturare il Servizio Sanitario Nazionale. Esso costituisce una grande opportunità e potrebbe essere uno degli elementi determinanti per revisionare o rimodulare i tetti. Una volta firmato il Patto, si potrebbe arrivare a una legge che dia la possibilità e gli stimoli per rendere migliore un SSN che è già l’optimum a livello europeo ed è anche quello che costa meno».

Stante le (tante) criticità, va comunque ribadito che la sanità italiana è efficiente, supporta una popolazione tra le più longeve al mondo – con una spesa media pro-capite di 500-600 euro inferiore a quella di Paesi come la Germania – e con un tasso di gradimento del 77%, una percentuale difficilmente raggiungibile in qualsivoglia settore.

Elena D’Alessandri