Solo il 2,8% dei bambini nati da madre positiva ha contratto il Covid-19, tuttavia sono raddoppiati i nati prematuri, che hanno raggiunto la soglia del 19,7% delle nascite.
Sono i primi dati raccolti tra marzo e giugno dal registro italiano della Società Italiana di Neonatologia, istituito durante la pandemia per non disperdere il patrimonio di conoscenze acquisito durante l’emergenza, presentati in occasione del XXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Neonatologia, svoltosi tra il 7 e il 10 ottobre.

Il progetto ha coinvolto tutti i punti nascita italiani. A fine luglio risultavano compilate 240 schede, di queste ne sono state analizzate 228 di cui 215 relative a ricovero per nascita e 13 relative a neonati rientrati in ospedale per trattare un’infezione acquisita successivamente. La maggioranza delle schede è stata compilata nel Centro-Nord, la zona più colpita dal Covid-19.
Dall’analisi delle schede è emerso che il 61% dei bambini è nato con parto naturale, il 24% con parto cesareo per scelta della madre e il 15% con cesareo d’urgenza. È risultato altresì che 152 donne erano al corrente di essere Covid positive al momento del parto, 20 erano in fase d’accertamento e 10 lo hanno scoperto nei giorni successivi al parto a causa dell’insorgenza di sintomatologia.

Per quanto concerne la nascita prematura dei bambini, i dati hanno evidenziato una percentuale doppia rispetto alla situazione pre-pandemia. Rispetto alla positività, 1 solo bambino è risultato positivo alla nascita; 2 su 6 si sono positivizzati nei giorni successivi alla nascita e 3 su 6, nati da madre non positiva al parto ma che ha scoperto la propria positività per insorgenza di sintomi nei giorni successivi, hanno confermato anch’essi la propria positività successivamente.

In tutti i casi i neonati erano asintomatici o con sintomatologia lieve, circostanza quest’ultima riscontrata anche nei 13 casi rientrati in ospedale per aver contratto l’infezione.
Il 66,5% dei neonati è stato isolato con la mamma; il 24,5% è stato isolato in Terapia Intensiva Neonatale; il 4,2% è stato isolato al Nido; il 3,6% è stato isolato dapprima con la mamma e poi separato dalla stessa, mentre l’1,2% è stato trasferito in un altro centro nascita.

Al di là dei dati del registro sulla relazione madre-bambino rispetto al Covid, il XXVI Congresso Nazionale SIN ha affrontato alcune tra le questioni più urgenti della Neonatologia, con particolare riferimento agli scenari presenti e futuri dei neonati con encefalopatia ipossico-ischemica e infezioni neonatali, nonché alla rianimazione neonatale.

L’encefalopatia Ipossico-ischemica

Questa patologia, è stato ricordato in una delle sessioni congressuali, interessa in prevalenza neonati a termine che già evidenziavano ipossi-ischemia in fase perinatale.
La casistica, a livello globale, è di circa 1,15 milioni di neonati l’anno, con incidenza media di 1,5 ogni mille nati vivi.
Le prospettive sono particolarmente scoraggianti: circa metà dei neonati muore precocemente o sopravvive con disabilità neurologiche.
L’unico trattamento, raccomandato anche dai principali trial clinici, è l’ipotermia terapeutica, in grado di ridurre circa del 15% la morte o la disabilità a 18 mesi in bambini che presentavano un’encefalopatia ipossico-ischemica moderata o seria alla nascita.

Più di recente è emerso, tuttavia, che anche pazienti con encefalopatia lieve alla nascita sono più esposti a danni neurologici e outcome, a distanza, negativi.

«Sebbene alcuni neonati con encefalopatia ipossico-ischemica lieve manifestino un outcome a distanza sfavorevole e, per quanto sia plausibile che il trattamento ipotermico possa essere utile per la prognosi, l’evidenza clinica resta limitata e non conclusiva», ha sostenuto il prof. Fabio Mosca, presidente SIN. «Restano da definire molti aspetti e sono indispensabili nuovi trial clinici prospettici per comprendere meglio l’efficacia del trattamento e il rapporto rischi-benefici in questa tipologia di pazienti».

Nonostante gli esiti positivi per le prognosi a distanza, restano in taluni casi gravi disabilità neurologiche nei pazienti con encefalopatie lievi.
Per questo sono al vaglio nuove strategie terapeutiche neuroprotettive e alternative che concorrano alla riduzione del danno cerebrale.
Nonostante siano in fase di studio gli effetti di diversi agenti protettivi, ancora nessuno è stato approvato nel trattamento dei neonati che presentano questa problematica.

Le infezioni neonatali

Dal congresso è emerso che le infezioni sono la terza causa di morte (12%) nei neonati, dopo prematurità e asfissia.

Stando alle stime dell’OMS, nel 2018 sono morti 2,5 milioni di neonati nel primo mese di vita, 1 milione nelle prime 24 ore; 3 decessi su 4 si collocano nella prima settimana di vita. La causa della morte è stata ricondotta a infezione nel 40% dei casi: sepsi in 7 casi su 10.

Nonostante l’attuale pandemia mostri di avere risparmiato i più piccoli, le infezioni infantili rimangono un problema complesso e urgente.

I neonati prematuri, in particolare, sono pazienti critici e fragili, con difese ridotte, spesso ricoverati in Terapia Intensiva e quindi sottoposti a procedure diagnostico-terapeutiche invasive, che ne incrementano il rischio infettivo.
La riduzione della mortalità è al centro delle politiche sanitarie internazionali; essa tuttavia dipende da un insieme di fattori, che vanno dalla prevenzione alla qualità dell’assistenza all’uso adeguato degli antibiotici.
Inoltre, un numero significativo di infezioni viene trasmesso al feto da madre infetta in gravidanza che, a seconda della tipologia di virus, causa danni molto importanti al bambino.

«Molti degli effetti dannosi di queste malattie nel neonato potrebbero essere ridotti, a volte azzerati, se lo screening e la prevenzione fossero praticati nei tempi e nella misura giusta e se l’accesso ai servizi di prevenzione fosse semplice, anche per le categorie sociali più disagiate.
Pensiamo, per esempio, alle donne immigrate, che spesso hanno difficoltà a usufruire delle attività di prevenzione esistenti, per difficoltà culturali, linguistiche o di accesso ai servizi sanitari», ha sottolineato il prof. Mosca.

La SIN, è stato ricordato, è impegnata nell’elaborazione delle prime linee guida per la prevenzione delle infezioni ospedaliere del neonato, con l’obiettivo di uniformare procedure e precauzioni di prevenzione su tutto il territorio nazionale.

La rianimazione neonatale

L’1% dei neonati necessita di ventilazione subito dopo la nascita, mentre tra il 5 e il 10% richiede una forma di sostegno nella stessa fase.
Si stima che la rianimazione neonatale, se correttamente eseguita, possa salvare circa 700 mila vite l’anno nel mondo.
Per meglio comprendere la situazione relativa alle Terapie Intensive Neonatali e alle pratiche di rianimazione la SIN, di concerto con la Società Europea Neonatale e Perinatale (UENPS), ha realizzato un’indagine che rappresenta il punto di partenza per la creazione di un network collaborativo, a livello nazionale ed europeo.

In Italia è stato inviato un questionario ai direttori delle TIN dotate di punto nascita: la risposta è stata del 92,5%, pari a 111 centri su 120, con una media di 1.634 parti l’anno.
Dai risultati è emerso che, in previsione della nascita di un bimbo estremamente prematuro o con patologie già diagnosticate prima del parto, nel 90% dei centri viene programmato un incontro con i genitori, come suggerito dalle linee guida vigenti.
Nel 62% dei centri il team di rianimazione è presente a tutti i parti, a rischio e non.

Tra i centri intervistati, il clampaggio posticipato del cordone ombelicale è applicato per il 95% nei nati a termine da parto vaginale, per il 67% nei nati a termine da taglio cesareo elettivo e per il 26% nei nati a termine da taglio cesareo in emergenza.
Per i neonati moderatamente pretermine (33‐36 settimane), invece, il clampaggio posticipato del cordone ombelicale è applicato nell’81% dei centri per i nati da parto vaginale, nel 52% dei centri per i nati da taglio cesareo.

Diversi lavori hanno evidenziato l’importanza di attendere almeno un minuto prima di clampare il cordone ombelicale.
Questo time-shift ha mostrato importanti vantaggi per il neonato: aumento della concentrazione di globuli rossi, di immunoglobuline e di cellule staminali nel sangue, aumento delle riserve di ferro che riducono l’anemia nei primi mesi di vita, possibile miglioramento dello sviluppo neuro‐cognitivo a 4‐5 anni.

Nei neonati pretermine, una recente revisione della letteratura scientifica riporta l’associazione tra clampaggio posticipato del funicolo di circa 30‐60 secondi e riduzione della mortalità.
È in fase di studio la valutazione dell’applicazione di questa pratica anche ai neonati che necessitano di rianimazione.

Considerando la delicatezza delle pratiche rianimatorie nel neonato, un elemento cruciale, ha ricordato il prof. Mosca, risiede nella preparazione del personale e nell’idoneità delle strumentazioni disponibili.
Il 98% dei centri italiani intervistati dispone in sala parto di attrezzatura appropriata (saturimetro e miscelatore per aria e ossigeno); il 91% utilizza di routine il sistema a T, lo strumento più idoneo per la ventilazione del neonato, e il 90% ha in dotazione una maschera laringea, strumento alternativo salvavita per gestire i casi particolarmente difficili.

In fase di rianimazione occorre, infine, garantire e coordinare le competenze di tutti i professionisti coinvolti (neonatologi, pediatri, anestesisti, ginecologi, infermieri, ostetriche). Ogni ritardo o errore nelle procedure potrebbe comportare conseguenze molto gravi nel bambino.
La formazione quindi, diventa qui più che altrove, un elemento nodale e imprescindibile.

Elena D’Alessandri