Un team italiano multidisciplinare ha lavorato a ritmo serrato per realizzare un sistema di ventilazione meccanica funzionale, semplice da realizzare e open source.

Vivere in un mondo globalizzato significa essere parte, a volte anche inconsapevolmente, di profonde interconnessioni ed equilibri delicati che, se infranti, possono determinare situazioni di difficile governo.
La pandemia di questi mesi lo sta dimostrando. Dispositivi medici normalmente di facile reperibilità sono diventati irreperibili e costosi o addirittura introvabili: mascherine, soprascarpe, guanti, alcol, reagenti, ma anche maschere per ventilazione non invasiva e ventilatori meccanici polmonari.

Questi ultimi, in particolare, sono dispositivi complessi, costituiti da un numero elevato di pezzi (fino a 1500), costruiti in diversi Paesi.
Con il lockdown esteso a più Paesi è stato difficile per le aziende produttrici sia reperire i componenti di base sia aumentare la produzione per rispondere alle tante richieste pervenute dal mondo.
Circa il 6% di coloro che contraggono il Covid-19 sviluppano, infatti, complicanze polmonari anche gravi che necessitano l’impiego di un ventilatore polmonare che sostenga il paziente nelle fasi della respirazione, pompando l’ossigeno nei polmoni ed espellendo l’anidride carbonica quando viene rilasciata l’aria.

È così partita una gara contro il tempo che ha coinvolto diversi Enti di ricerca, Università, Istituti ospedalieri e aziende, tanto per far fronte alle crescenti esigenze sanitarie del momento quanto per ideare soluzioni che rendano ciascun Paese maggiormente autonomo nel caso di eventuali nuove future pandemie. Il progetto Milano Ventilatore Meccanico (MVM) rientra tra questi progetti.
L’idea è nata dal professor Cristiano Galbiati, docente presso l’Università di Princeton e il Gran Sasso Science Institute (GSSI), e il gruppo di ricercatori Darkside dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) con cui collabora.

Entro breve tempo il progetto ha avuto il supporto di diverse realtà, tra cui le Università di Milano-Bicocca, Statale di Milano, Federico II di Napoli, oltre all’Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali per il Manifatturiero Avanzato (STIIMA) e l’Istituto per la Scienza e Tecnologia dei Plasmi (ISTP) del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
A queste realtà nel tempo si sono unite anche le Università di Bergamo, Brescia, Pavia e dell’Insubria, oltre al Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa e all’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, supportati dal personale della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio e della ditta SRA Instruments.

La struttura del ventilatore

«Il progetto MVM è partito a metà marzo nel pieno della pandemia in Italia con lo scopo di progettare, realizzare e produrre su ampia scala e in tempi brevi un ventilatore economico, fatto di pochi componenti, scelti perché facilmente reperibili sul mercato, e facili da assemblare», spiega la dottoressa Daniela Farina, direttore di ISTP-CNR. Nel progettare il ventilatore MVM gli esperti si sono ispirati al ventilatore sviluppato nel 1961 da Roger Manley, affiliato al Dipartimento di Misurazioni Cliniche dell’Ospedale Westminster di Londra. Manley aveva pubblicato un articolo sulla rivista Anaesthesia (https://doi.org/10.1111/j.1365-2044.1961.tb13830.x) in cui descriveva proprio un nuovo ventilatore meccanico basato sull’uso della pressione dei gas emessi dall’apparecchio da anestesia come forza motrice per ventilare i polmoni dei pazienti in sala operatoria.

MVM è quindi costituito da elettrovalvole pneumatiche e non da commutatori meccanici e integra le caratteristiche avanzate proposte dagli esperti anestesisti che hanno partecipato al progetto, forti della propria esperienza nelle Terapie Intensive lombarde.

«MVM è infatti stato ottimizzato per la cura dei pazienti affetti da Covid-19», dice Marco Tardocchi, coordinatore del gruppo di ricercatori ISTP che lavorano al progetto.
«Il dispositivo funziona in due principali modalità: la ventilazione a pressione controllata, necessaria per far respirare i pazienti più gravi che, di norma, sono sedati; la ventilazione con supporto pressorio, iniziata dal paziente, che invece fornisce assistenza al paziente che cerca di respirare in modo autonomo.
MVM individua il momento di passaggio del paziente dalla fase inattiva a quella attiva grazie a sensori di pressione che sono opportunamente collocati in diversi punti dell’apparato».

MVM ha quindi un cuore, cioè una unità elettronica molto raffinata, che effettua il controllo del ciclo respiratorio del paziente e l’attuazione delle valvole in ingresso e uscita, facendo riferimento alle letture dei sensori di pressione e ai cicli programmati specificatamente per le varie fasi della malattia, e che genera gli allarmi che indicano anomalie in caso necessario.
Tutti i parametri di sistema sono visualizzati su un display LCD così da permettere al personale ospedaliero il controllo del ventilatore e il monitoraggio del paziente.
La scelta di sviluppare un dispositivo di facile produzione e utile a tutti i Paesi del mondo coinvolti in questa, ma anche in future pandemie, ha condotto a un disegno modulare che si presta allo scambio di componenti in base alla disponibilità nelle diverse parti del mondo.
Il progetto MVM è pubblicato sul portale arXiv.org ed è concesso in licenza ai sensi del CERN OHL v2.0 dalla Fondazione Aria, e, molto importante, il dispositivo non verrà brevettato.

«Il fatto che il progetto del ventilatore sia open source non significa però che qualunque azienda possa facilmente metterlo in produzione o che possa apportare delle modifiche liberamente.
È fondamentale che la produzione sia nelle mani di realtà industriali competenti nel settore di strumentazione per ospedali e certificate presso i rispettivi enti nazionali, perché MVM è un dispositivo salva vita e deve soddisfare tutti i necessari requisiti di qualità», sottolinea la dottoressa Daniela Farina.

Un altro aspetto interessante di questo progetto è che ha mobilitato numerose realtà a livello internazionale, creando un team di lavoro estremamente variegato e di altissima competenza, che va dal progettista delle valvole all’anestesista di rianimazione.

Il team di lavoro

La collaborazione è uno degli aspetti fondamentali della scienza che consente di effettuare innovazione anche in tempi brevi, e il progetto MVM ne è una chiara dimostrazione.
Esso ha avuto inizio dal gruppo di ricerca Darkside dell’INFN, diretto dal professor Galbiati, un progetto che si occupa della materia oscura presente nell’Universo.
Il gruppo ha messo a disposizione le proprie competenze nel controllo di sistemi complessi e nella gestione dei gas, acquisite nell’ideazione delle sofisticate attrezzature necessarie per studiare lo Spazio, ma anche la propria propensione alla collaborazione nazionale e internazionale.

Al progetto si sono subito uniti i due Istituti del CNR e le Università per sviluppare il primo design concettuale del MVM.
Il tempo era un fattore chiave del progetto: per velocizzare il processo di verifica e controllo della comunità scientifica, il progetto concettuale è stato pubblicato in rete. Idee, commenti e proposte di partecipazione non hanno tardato ad arrivare e il gruppo di lavoro si è presto allargato, includendo realtà internazionali.
Il Canada è stato tra le prime Nazioni a entrare nel progetto con tre laboratori nazionali coordinati dal Premio Nobel Art McDonald della Queen’s University: Canadian Nuclear Laboratories, Triumpf e Snolab.

Gli Stati Uniti hanno dato il loro contributo con scienziati del Fermilab, del Laboratorio di Fisica del Plasma di Princeton, di due laboratori nazionali del Ministero dell’Energia e con diverse Università. In Europa si sono uniti al progetto l’Istituto IN2P3 del CNRS francese, il laboratorio spagnolo Ciemat e altre realtà polacche, tedesche e del Regno Unito.
Un grande team in cui ogni membro ha portato le proprie competenze, oltre a molta motivazione. Il ventilatore MVM ha ricevuto all’inizio di maggio dalla statunitense FDA l’approvazione all’uso emergenziale (con la certificazione EUA).
In Europa sono necessari i passaggi per ricevere il marchio CE che verranno presto avviati.

«Di fatto, in questo momento in Europa la fase critica della pandemia sembra superata: c’è quindi tempo per poter provare e perfezionare il ventilatore polmonare.
La sperimentazione clinica su pazienti Covid-19 partirà a breve», assicura il dottor Tardocchi che non esclude che questo dispositivo possa essere modificato per essere utilizzato anche in situazioni non di emergenza.

Il ruolo del comparto produttivo

Anche se al momento nessun Paese europeo necessita di ventilatori MVM, così non è in altre aree del mondo.
Lo dimostra il fatto che il primo ordine di 10.000 unità è giunto in Italia dal Canada. MVM sarà prodotto da Elemaster, azienda di tecnologie elettroniche che si è fatta capofila di un gruppo di aziende lombarde che ha voluto partecipare attivamente al progetto MVM: Nuclear Instruments, AZ Pneumatica, Saturn Magnetic, Bel Power Europe e Camozzi.
Queste si sono poi nel tempo coordinate con aziende canadesi e statunitensi.

Presso il centro di assistenza tecnica per respiratori di Sapio Life è stato sviluppato il primo prototipo di MVM, in collaborazione diretta e continua con il Dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Milano.
Questo primo prototipo è stato sottoposto a test di collaudo e processi di qualifica di performance con simulatori di respirazione presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Milano-Bicocca all’Ospedale San Gerardo di Monza.

In questo modo si è arrivati in poche settimane al primo prototipo industrializzato, che ha dimostrato di funzionare correttamente, di fatto validando la fattibilità del design concettuale.

Concludiamo con il commento rilasciato dal professor Cristiano Galbiati, ideatore del progetto: «MVM rappresenta un caso paradigmatico: da un lato mostra il ruolo fondamentale e il grande impatto che la ricerca di base, con la sua capacità di conoscenza e di innovazione tecnologica, ha sulla società, e dall’altro evidenzia l’importanza della collaborazione internazionale e multidisciplinare per affrontare le grandi sfide dei nostri tempi».

Una collaborazione sempre più essenziale e che richiede competenza, passione e generosità.

Beatrice Arieti