Negli ultimi decenni con l’allungarsi della vita media si è registrato anche un progressivo mutamento nell’epidemiologia delle società occidentali, sempre più alle prese con patologie di carattere cronico.
I primi dati resi disponibili dal Rapporto Osservasalute 2018 parlano di 24 milioni di italiani già alle prese con una patologia cronica, per lo più ipertensione, artrite/artrosi e malattie allergiche, di cui poco più della metà con multi-cronicità. La presa in carico di questi soggetti costa circa 67 miliardi di euro. Una proiezione a 10 anni parla di un incremento di malati cronici pari a 1 milione, arrivando così a una cifra totale di 25 milioni, tra i quali 14 milioni con multi-cronicità, per una spesa sanitaria che raggiungerà probabilmente i 70,7 miliardi di euro.
Un altro dato confermato dall’ultimo Rapporto è il ruolo che genere, territorio, classe sociale e titolo di studio hanno nell’influenzare le cronicità: di norma le donne ne sono più colpite e sono anche più predisposte alla multi-cronicità; chi abita nei piccoli centri ha una maggiore probabilità di sviluppare una patologia cronica, così come chi ha un titolo di studi più basso. Infine, ci sono territori caratterizzati da particolari cronicità.
Come sappiamo, il luogo della cura di queste patologie è il territorio. Per far fronte a questi aumenti, però, è necessario avere a disposizione infermieri in numero adeguato, sia in ricovero che presso il domicilio: la Commissione europea sottolinea che tutti i piani nazionali europei per la realizzazione della copertura sanitaria universale formulano proposte specifiche per migliorare e sviluppare il ruolo degli infermieri come professionisti della salute più vicini alla comunità. Così non è, al momento, nel nostro Paese, anche se gli infermieri si sentirebbero pronti per questo passaggio.
Recentemente Barbara Mangiacavalli, presidente della FNOPI -(Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), ha ricordato che «il rapporto infermieri/pazienti che studi internazionali indicano come ottimale per abbattere la mortalità del 20% è di 1:6. In Italia abbiamo Regioni che sono a 1:17, come la Campania, e altre che sono a 1:8 come il Friuli-Venezia Giulia. La carenza di infermieri, soprattutto sul territorio, e quindi accanto ai pazienti più fragili e bisognosi di assistenza continua, è di circa 50-53mila unità. Ci sono comunque Regioni dove i numeri potrebbero considerarsi a posto, come Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, e Regioni dove invece l’assenza di organici è pesante e mette l’assistenza a rischio. In Campania gli infermieri sono circa il 48% in meno di quelli che sarebbero necessari, cifra che raggiunge il 55% in Calabria e il 56% in Sicilia. Di conseguenza anche l’introduzione della figura innovativa dell’infermiere di famiglia e comunità a fianco del medico di medicina generale, voluta fortemente anche dai cittadini, non può essere omogenea: al Nord infatti ci sono già esperienze e modelli affermati, al Sud gli infermieri sono troppo pochi anche solo per assistere i pazienti in ricovero, figuriamoci sul territorio».
Secondo i dati Eurostat nel 2016 in Italia c’erano 557 infermieri ogni 100.000 abitanti: lo stesso anno, in Germania e Francia ce n’erano più di 1000. A conti fatti, nel nostro Paese mancherebbero tra i 50 e i 60mila infermieri. Per colmare questo divario, occorre modificare il piano di programmazione dei corsi di formazione e le assunzioni. Solo così si potranno affrontare le sfide future.
«Nel XXI secolo – conclude la Mangiacavalli – vedremo più comunità e servizi a domicilio, una migliore tecnologia e la cura centrata sulla persona: gli infermieri saranno in prima linea in questi cambiamenti e per questo devono imparare a essere leader perché tutte queste qualità le hanno già sviluppate e fanno parte della loro vocazione e della loro professionalità. Una nuova epidemiologia richiede nuovi modelli di assistenza e, per questi, c’è già il nuovo infermiere che deve essere specializzato e presente h24 sul territorio. Ma deve essere disponibile ovunque e in tutte le Regioni senza carenze e in modo omogeneo».
Stefania Somaré