Il 17 novembre ricorre la Giornata Mondiale della Prematurità (World Prematurity day). Una manifestazione globale, celebrata in più di 60 Paesi, che dal 2011 ha come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul delicato tema della prematurità e delle problematiche a essa connesse.
A livello italiano i bambini nati prematuri rappresentano circa il 7% del totale delle nascite: 30 mila l’anno, a fronte di 15 milioni a livello globale.
Una situazione questa che vede seriamente impegnati i reparti di neonatologia, dal personale infermieristico a quello medico, nella difficile battaglia per la sopravvivenza di quei bambini nati troppo presto.
«Nascere ai tempi del Covid ha cambiato profondamente le nostre vite, costringendoci anche a un modo diverso di assistere i neonati nelle TIN.
Occorre tuttavia, anche in questo difficile momento ribadire l’importanza della zero separation e mantenere fermo e forte il contatto coi genitori che non possono e non devono essere considerati alla stregua di semplici visitatori», ha ricordato Fabio Mosca, presidente della Società Italiana di Neonatologia.
In occasione della ricorrenza annuale 2020, la Società Italiana di Neonatologia insieme a Vivere Onlus – Coordinamento delle Associazioni dei genitori, hanno organizzato il 16 novembre, una lunga giornata congressuale dal titolo “Prendiamoci cura del futuro”, che è stata anche occasione per presentare i più importanti progetti portati avanti dalla SIN.
Tra le diverse iniziative, il Libro Rosso SIN, che intende fissare gli standard organizzativi a tutela del neonato prematuro.
Il progetto è stato presentato dal suo coordinatore, Rinaldo Zanini, già direttore della Terapia Intensiva Neonatale di Lecco, capo Dipartimento Materno Infantile e membro di numerose commissioni ministeriali e regionali.
Con l’avvio del progetto, nel dicembre 2018, si è assistito a un interesse sempre maggiore alla sua realizzazione da parte di numerose società scientifiche.
Il libro rosso è stato consegnato al presidente SIN Fabio Mosca lo scorso settembre e ha avuto una sua prima presentazione in occasione del Congresso Annuale SIN, tenutosi lo scorso ottobre a Venezia.
Il Libro Rosso
La realizzazione del progetto è stata alquanto complessa, sia per la pluralità dei soggetti coinvolti sia per i diversi aspetti di cui si è dovuto tener conto: dalle fasi precedenti la nascita a quelle successive.
Pertanto, si è deciso di coinvolgere numerose società e ben tre università: Bicocca, Politecnico di Milano e Università di Parma, oltre a un gruppo di oltre 100 autori e revisori.
Nell’introduzione del Libro, che si compone di 16 capitoli, si legge che i professionisti devono produrre valore e salute, indipendentemente dalle condizioni esterne del loro ambiente.
«I problemi più grandi che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni, sono da una parte la denatalità – l’Italia è tra i paesi con un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa che a fine 2020 potrebbe scendere sotto i 400 mila nati a causa di paura e incertezza dovute al Covid – e dall’altra un problema di risorse economiche, in riduzione e comunque indirizzate verso altri settori», ha sottolineato Zanini.
Il sound di base è che ogni azione deve dare un valore aggiunto: una buona azione clinica è dunque quella in grado di favorire il benessere psicofisico della mamma e del bambino.
Il contesto di riferimento da cui parte il volume è quello dell’unicità biologica gravidanza-parto-nascita e della centralità della diade madre-neonato, fermo rimanendo l’esigenza di dare maggior peso e più spazio ai professionisti del settore e ciò per assicurare una maggiore qualità, sicurezza ed efficienza nell’offerta di cure e terapie.
A ciò si aggiunga l’esigenza di incrementare i volumi di attività nonché le dimensioni delle unità operative e le risorse, umane e non solo, necessarie per potervi far fronte.
Libro, target e impostazione
Il libro si rivolge a 4 differenti target: i professionisti, gli amministratori, i decisori e gli utenti.
«Il nostro orizzonte non è quello di costruire uno strumento per una dimensione legislativa, ma offrire uno sguardo professionale per costruire un futuro realizzabile, grazie al confronto con altre professionalità che rappresenta un’occasione per uscire dalla propria comfort zone».
Il libro intende offrire anche una panoramica internazionale con un confronto di 7-8 schede sulle esperienze e sul substrato amministrativo e legislativo di altri Paesi europei per quanto concerne l’assistenza materno infantile, proprio perché, pensando ad un futuro realizzabile, occorre comprendere, anche in altri contesti, in che direzione si stia andando per quanto riguarda l’assistenza sanitaria.
Il volume approfondisce anche la normativa italiana, soprattutto per comprendere i principali elementi ostativi alla sua applicazione.
Le risorse umane
Un altro elemento cruciale considerato nel Libro sono le risorse umane, con una revisione di tutta la letteratura degli ultimi anni sulle modalità di valutazione delle stesse.
Queste devono essere adeguate e la gestione di quelle disponibili deve essere corretta. Particolare importanza, altresì, riveste la valutazione degli esiti clinici degli anni precedenti. Più in particolare, nella valutazione delle risorse umane si fa riferimento a due modelli: un primo modello è quello top down – che parte dalla valutazione di misure non necessariamente finalizzate al calcolo delle risorse umane – mentre il secondo è quello bottom-up – che, partendo dal campo, analizza le situazioni con attenzione a quanto realmente accade.
Quando i modelli assistenziali sono molto complessi, come nel caso delle TIN, o come nella patologia neonatale correlata alla terapia intensiva, l’unico metodo riconosciuto dalla letteratura è la modalità top-down perché troppe sono le variabili da valutare per poter partire da una misura del quotidiano.
È stato così costruito un database sulla base di 4 variabili: il volume complessivo delle giornate di ricovero rispetto al numero di neonatologi; il numero di neonatologi e il numero di letti delle diverse TIN; il numero dei neonati del bacino degli hub; il rapporto tra medici e complessità della casistica emersa dall’analisi del numero dei neonati di basso peso.
Queste 4 modalità di interpolazione danno una prima approssimazione tra la dimensione del volume di attività dell’Unità Operativa e la necessità di medici.
Tuttavia si tratta di un metodo impreciso che va perfezionato attraverso altri strumenti.
Il metodo messo a punto definisce il livello operativo, i risultati, il numero di personale necessario per il funzionamento di una TIN, i risultati ottenuti e quelli che si vogliono ottenere.
A questo vanno aggiunti il numero di medici per le attività di follow-up, per le attività di Sten (trasporto in emergenza neonatale) e per l’attività del nido.
Per le attività di nido e patologie neonatali a esso collegate, si è scelto il metodo bottom-up perché le variabilità a quel livello assistenziale sono molto modeste ed è quindi possibile standardizzarne le procedure.
«Una volta assegnate le risorse bisogna tuttavia imparare a gestirle. Si ottengono risultati assistenziali migliori se il management della direzione dell’Unità Operativa è partecipativo e in grado di coinvolgere i propri collaboratori», ha ricordato Zanini.
Le dimensioni dell’Unità Operativa
Il terzo elemento che sostiene la qualità delle azioni è la dimensione dell’Unità Operativa, elemento sul quale la letteratura è quanto mai discorde.
I lavori nord-americani parlano di un’operatività non sufficiente con 100 neonati l’anno sotto il chilo e mezzo di peso alla nascita; alcuni lavori europei parlano di circa 40-50 neonati sottopeso.
«Noi siamo andati a ridefinire, monitorando un periodo di 5 anni con 11.124 neonati sottopeso i limiti di cut-off, scoprendo che il limite di cut-off vero è il numero inferiore a 25 neonati sotto 1,5 kg l’anno».
Quando ci si avvicina a dimensioni limite, è inoltre fondamentale un’attenta valutazione di quanto accaduto nel triennio precedente, che nel 48% dei casi influenza in modo determinante il periodo successivo.
Punti nascita
Per quanto riguarda i punti nascita di primo livello si è evidenziato chiaramente come il numero 500 funga da spartiacque, facendo la differenza sul tasso di trasferimento soprattutto dei late pre-term.
Il trasferimento è un elemento negativo per l’attaccamento madre-neonato e per l’allattamento al seno, e si sa ormai quanto questi elementi abbiano effetti negativi sulla salute psico-fisica del neonato.
In questo senso sono quindi raccomandate le dimensioni non inferiori a 500, con un livello ottimale intorno a 1.000, dimensione che garantisce i migliori risultati.
A livello di impianto complessivo è stato ipotizzato un sistema a due livelli.
Negli spoke di primo livello rientrano i punti nascita con numero di nati compresi tra 500 e 1.000 che dispongono di fisiologia e sono in grado di gestire una minima patologia; e quelli con più di mille nati in cui viene gestita anche una patologia intermedia.
Gli hub di secondo livello devono gestire invece tutto il ciclo assistenziale, quindi la patologia grave (TIN), la fisiologia, la patologia intermedia e le eventuali specialità.
Standard, care e indicatori
Un altro capitolo del volume è stato dedicato agli standard ostetrici e infermieristici, e cioè il rapporto tra personale e numero di pazienti (neonati), definendone gli spazi professionali. Per quanto concerne l’ostetrica, si sta andando nella direzione di un’assistenza one-to-one, standard al quale si dovrà tendere in futuro. Ci sono poi capitoli sugli standard organizzativi in generale, che affrontano anche i temi delle attrezzature e degli spazi, con obiettivi di sistema per le donne e per i bambini.
Molto importante il capitolo sulla care, con lo straordinario supporto a cui sono stati chiamati i genitori.
A quest’ultimo riguardo sono stati intervistati oltre 500 genitori con neonati appena dimessi o ancora ricoverati in una TIN. Si tratta di un capitolo in cui si evidenziano differenze percettive tra caregiver – i genitori – e i professionisti.
«Si tratta di differenze che meritano di essere analizzate a fondo se si vuole migliorare in maniera significativa», ha ricordato Zanini.
Il giudizio emerso tuttavia è mediamente positivo.
L’ultimo capitolo è infine dedicato agli indicatori perché non esiste alcun sistema che possa essere definito efficace se non esplicita quelli che sono gli elementi del proprio governo. Esistono 3 obiettivi: la governance del proprio sistema; il benchmarking tra unità operative delle stesse dimensioni, della stessa regione, quindi locale e quello internazionale.
Questo consente di comprendere dove si sta andando, permettendo un confronto di prossimità così come un confronto più esteso con il mondo.
Elena D’Alessandri